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Fabrizio e Cappato: la sfida per il diritto alla fine di vita.

La vicenda di Fabrizio, un uomo di 79 anni afflitto da una patologia neurodegenerativa progressiva e implacabile, solleva questioni etiche, legali e sociali di profonda importanza.
Il suo desiderio di accedere alla morte assistita in Svizzera, un paese dove tale pratica è regolamentata e accessibile, si scontra con le attuali limitazioni imposte dal sistema sanitario italiano e con i ritardi burocratici dell’ASL ligure.
In questo contesto delicato, Marco Cappato, figura di spicco nell’associazionismo a favore dei diritti alla fine di vita, si è offerto di fornire assistenza concreta a Fabrizio, suscitando un dibattito acceso e complesso.

L’azione di Cappato non si limita a un gesto di solidarietà individuale, ma si configura come un appello a un’azione collettiva di disobbedienza civile, una strategia deliberata per evidenziare una lacuna legislativa e una prassi burocratica percepita come iniqua.

Questa chiamata ai volontari, diffusa attraverso i social media, mira a creare una rete di supporto per chi, come Fabrizio, si trova in una situazione di sofferenza insopportabile e vede negato un diritto riconosciuto a livello costituzionale.

La decisione della Corte Costituzionale ha aperto la strada alla possibilità di pratiche mediche di fine vita in Italia, ma la sua implementazione è frammentata e soggetta a interpretazioni divergenti tra le diverse regioni.
Questo genera disuguaglianze nell’accesso a cure palliative e, nel caso specifico, alla possibilità di optare per la morte assistita quando le condizioni di sofferenza lo rendono necessario.

La Liguria, come altre regioni italiane, si trova ad affrontare un quadro normativo complesso e spesso contraddittorio, che alimenta frustrazione e disperazione nei pazienti e nelle loro famiglie.
L’Associazione ‘Soccorso civile’, guidata da Cappato, si propone di colmare questa lacuna, offrendo un punto di riferimento per chi si trova a fronteggiare dinieghi e ostacoli nel percorso verso una fine di vita dignitosa.

L’apertura dell’associazione rappresenta un atto di responsabilità civile, volto a sostenere chi sceglie di esercitare il proprio diritto alla fine di vita, anche a costo di sfidare le convenzioni e le leggi vigenti.
La vicenda di Fabrizio non è un caso isolato, ma il sintomo di una profonda crisi etica e legislativa che investe il nostro Paese.
Il diritto alla fine di vita, lungi dall’essere una rivendicazione di privilegi, si configura come un diritto fondamentale alla dignità umana, un diritto a decidere autonomamente sul proprio corpo e sulla propria esistenza, soprattutto quando si è confrontati con la sofferenza e la perdita di controllo.
L’azione di Cappato e dell’associazione ‘Soccorso civile’ pone dunque una domanda imprescindibile: quanto siamo disposti a fare per garantire a tutti i cittadini la possibilità di affrontare la fine della vita con dignità e autonomia? Il dibattito è aperto e richiede una riflessione seria e approfondita, al di là di pregiudizi ideologici e resistenze culturali.

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