Un nuovo atto di violenza scuote il carcere di Marassi, riaprendo una ferita profonda nel sistema penitenziario italiano.
Fabio Pagani, segretario della Uilpa Polizia Penitenziaria, denuncia un’aggressione particolarmente grave, un episodio che certifica, se servisse, la crescente pericolosità e il degrado strutturale e umano che affliggono le nostre strutture detentive.
La vittima, un detenuto di 45 anni, ha sporto denuncia per percosse e tentata violenza sessuale, dettagli che emergono da un racconto angosciante e che richiedono un’indagine approfondita e tempestiva.
L’assenza, al momento, di un fascicolo aperto dalla Procura sottolinea una necessità urgente di accelerare i processi e di garantire la protezione delle vittime, interne ed esterne al sistema.
L’intervento immediato dei sanitari, con il ricovero del detenuto nel centro clinico di Marassi, e l’isolamento precauzionale degli aggressori, sono misure necessarie ma insufficienti a risolvere un problema di portata ben più ampia.
La Uilpa Polizia Penitenziaria evidenzia lo stato di spossatezza e demoralizzazione del personale, ulteriormente aggravato dalla prolungata protesta del reparto Alta Sicurezza.
Questa congiuntura di fattori – aggressioni, disordini, carenza di risorse – è sintomatica di un sistema sull’orlo del collasso, un sistema che non riesce a garantire né la sicurezza dei detenuti, né quella degli operatori, né, men che meno, a perseguire la finalità rieducativa della pena.
L’episodio odierno evoca, con inquietante similitudine, l’atroce vicenda del 4 giugno, quando un giovane di diciotto anni subì un efferato pestaggio e torture da parte di altri detenuti, ingiustamente accusato di pedofilia.
La gravità di quell’evento portò all’arresto di quattro individui, accusati di violenza sessuale di gruppo e tortura, un monito oscuro che sembra non aver lasciato un segno profondo nel sistema.
L’approccio attuale, incentrato su misure repressive come l’introduzione di un reato “impossibile” di rivolta, si rivela non solo inefficace, ma anche controproducente.
È imperativo, dunque, un cambio di paradigma radicale.
La prevenzione deve diventare la pietra angolare della politica penitenziaria, investendo in programmi di formazione e supporto per il personale, migliorando le condizioni di lavoro e di vita all’interno delle carceri, e promuovendo iniziative di mediazione culturale e di reinserimento sociale.
L’umanizzazione del sistema penitenziario non è un’utopia, ma una necessità imprescindibile per garantire la dignità umana di ogni individuo, detenuto e operatore, e per ripristinare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Richiede un impegno congiunto da parte del governo, del parlamento, delle forze dell’ordine, del personale penitenziario, delle associazioni di volontariato e di tutta la società civile.
Solo attraverso un approccio olistico e multidisciplinare sarà possibile affrontare le cause profonde della violenza carceraria e costruire un sistema penitenziario più giusto, sicuro ed efficace.
La sicurezza nazionale non può essere confusa con la repressione: la vera sicurezza nasce dal rispetto della dignità umana e dalla possibilità di una seconda opportunità.