Il rito islamico contro il demonio finisce in tragedia: processo per la morte di Khalid Lakhrouti.

Date:

27 febbraio 2025 – 08:20

Il processo per la morte di Khalid Lakhrouti, avvenuta durante un presunto rito islamico contro il demonio, si aprirà il 24 aprile davanti alla Corte d’Assise di Ivrea. La vittima, un uomo di 43 anni originario del Marocco, è deceduta a Salassa il 10 febbraio dell’anno precedente. La giudice Rossella Mastropietro ha rinviato a giudizio lo zio Abdelrhani Lakhrouti, 52 anni; il fratello della vittima, Nourddine Lakhrouti, 45 anni; e l’ex moglie di Khalid, Sara Kharmiz, tutti accusati di omicidio volontario.La tragica fine di Khalid è stata causata dal soffocamento con un bottone Guess staccato da una maglia e premuto sulla sua bocca e naso fino a finire in gola. Durante l’evento fatale, l’imam presente ha dichiarato di aver recitato il Corano mentre tentava invano di aiutare la vittima in preda al delirio. Khalid aveva manifestato convinzioni riguardanti il possesso demoniaco dei suoi familiari, sostenendo che la moglie e i figli fossero stati posseduti.Dopo la partenza dell’imam alle ore 20, solo il fratello della vittima e l’ex moglie sono rimasti nella casa dove si è verificata la tragedia. Un’ora e mezza dopo la morte di Khalid, i parenti hanno chiamato il servizio medico d’emergenza segnalando un malore. Gli inquirenti sono intervenuti sul luogo insieme ai carabinieri: inizialmente si era ipotizzata un’overdose come causa del decesso, ma l’autopsia ha rivelato segni evidenti di legature ai polsi e alle caviglie sulla vittima.Le indagini condotte dalla pm Giulia Nicodemi hanno portato alla scoperta di intercettazioni telefoniche tra l’imam, il fratello della vittima e l’ex moglie. In uno dei dialoghi registrati emergeva un suggerimento dell’imam riguardante una possibile difesa basata sull’aggressività della vittima come giustificazione per i segni sui suoi arti. Nonostante le difese abbiano cercato di minimizzare la responsabilità dei tre imputati sostenendo tesi quali omicidio colposo o preterintenzionale, essi rischiano ora una condanna all’ergastolo in base agli elementi raccolti durante le indagini.

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