Irpef, la riforma del 2023 crea un paradosso per chi paga le imposte al lordo

La riforma dell’Irpef introdotta nel 2023 con il decreto legislativo n. 216/2023 sembra aver creato una situazione paradossale per gli unici contribuenti che pagano le imposte in modo integrale: gli acconti da versare entro giugno e novembre del prossimo anno saranno calcolati utilizzando il vecchio regime a quattro scaglioni, ormai superato da due anni. Questo significa che i contribuenti saranno tenuti a pagare con un’antichità la quota di Irpef relativa all’anno in corso.Il comma 4 dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 216/2023 stabilisce, infatti, che per il determinio degli acconti Irpef per gli anni 2025 e 2026, relative ai periodi d’imposta 2024 e 2025, si utilizzerà l’aliquota Irpef (23%, 25%, 35% e 43%) e la detrazione per redditi di lavoro dipendente vigenti al 31 dicembre 2023 (1.880 euro) come imposta del periodo precedente.Ma cosa significa in concreto? Significa che i contribuenti dovranno calcolare gli acconti Irpef utilizzando aliquote non più in vigore, nettamente superiori a quelle attuali. Questa situazione è considerata “clamorosa ingiustizia” da parte della Cgil, la principale organizzazione sindacale italiana.I rappresentanti del Consorzio nazionale Caaf Cgil, Monica Iviglia e Christian Ferrari, hanno espresso preoccupazione per la situazione dei contribuenti che vivono di salario. Secondo loro non si può continuare a “vessare” coloro che lavorano con contratti di lavoro dipendente.La Cgil sottolinea come questa situazione sia il risultato di una riforma che sembra essere stata progettata per aumentare i carichi tributari, soprattutto per i contribuenti con redditi più bassi.