“La Medicina Generale: una professione essenziale ma poco valorizzata”

Date:

23 dicembre 2024 – 17:45

La dott.ssa Chiara Nardo, medico di famiglia a Torino, ha deciso di dare voce alle difficoltà quotidiane che lei e i suoi colleghi affrontano nel loro lavoro. La Medicina Generale dovrebbe essere il pilastro del servizio sanitario nazionale, il punto di riferimento per le esigenze di salute dei cittadini, ma spesso si trovano a operare in condizioni che non valorizzano adeguatamente l’importanza del ruolo che svolgono. Dopo una giornata passata a combattere con ricette dematerializzate che non funzionavano, la tensione è esplosa. Ogni giorno sono chiamati a rispondere prontamente alle necessità dei pazienti, gestire piani terapeutici complessi e colmare le lacune della medicina specialistica spesso carente o poco accessibile.In un contesto in cui il sistema pubblico presenta carenze strutturali, i medici di medicina generale devono anche fronteggiare l’assalto delle prescrizioni indotte da strutture private e assicurazioni che privilegiano il profitto rispetto alle reali esigenze cliniche. A questo si aggiunge la routine quotidiana fatta di messaggi, telefonate, email, visite domiciliari e ambulatorio aperto almeno 4 ore al giorno. Il lavoro non si esaurisce qui: si protrae ben oltre l’orario ufficiale con la gestione di emergenze e richieste amministrative.Ma ciò che rende tutto ancora più difficile è il carico emotivo derivante dalle aspettative elevate dei pazienti: spesso i medici di medicina generale sono gli unici punti di riferimento costanti e diretti per loro, creando una pressione che si traduce in uno stress psicologico significativo. Non sorprende quindi se molti giovani evitino questa carriera. La vera domanda da porsi è: perché qualcuno dovrebbe scegliere una professione così essenziale ma allo stesso tempo così poco valorizzata?Per invertire questa tendenza bisogna cominciare a riconoscere il ruolo fondamentale dei medici di medicina generale e garantire loro il rispetto e il supporto che meritano. Solo così sarà possibile assicurare un sistema sanitario equo, robusto e veramente vicino ai bisogni dei cittadini.

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