Mentre i primi due eventi per il 60° del Cineclub guardavano, il primo a contenuti e linguaggi cinematografici delle nuove generazioni (la serata di cortometraggi dei giovani filmaker di Piemonte Factory) e il secondo al futuro delle sale cinematografiche di comunità e di fruizione di cinema condiviso (partendo dalla storia ultracentenaria dei cinema torinesi), questo terzo e ultimo evento (ingresso libero, aperto a tutti) propone un assaggio del cinema industriale Olivetti.
Lo scopo è duplice: un richiamo alle attività di promozione culturale del territorio da parte della Olivetti (delle quali lo stesso Cineclub è testimonianza) e uno sguardo al più tradizionale rapporto di una grande azienda con il cinema, quello di produttore e committente di film industriali e pubblicitari.
Un rapporto particolarmente aperto e innovativo che emerge dalla breve selezione di filmati, realizzati dal regista Massimo Magrì per la Olivetti, che verranno proiettati nella serata di mercoledì 11 maggio al cinema Boaro.
«In Olivetti nessuno si spaventò. Anzi, si incuriosirono», notava in un articolo del 2007 (che riproduciamo in calce a questo comunicato) Magrì a proposito dei suoi due primi un po’ bizzarri filmati realizzati nel 1968 per l’azienda, su incarico di Ettore Sottsass, a conferma della particolare apertura al nuovo e all’insolito che si respirava in Olivetti.
CINECLUB IVREA
E-mail: ivrea.cineclub@gmail.com – Tel. 351 690 6071
Mercoledì 11 maggio 2022, ore 21.00, presso cinema Boaro (via Palestro, 86)
Olivetti e il cinema: la storia
Filmati industriali di Massimo Magrì
Il Cineclub Ivrea (seppur totalmente autonomo dai Servizi Culturali Olivetti dal 1995) è, come noto, la prosecuzione del Cineclub Olivetti nato nel 1962 dalla confluenza di tre iniziative nate negli anni Cinquanta: Il film della biblioteca, Il cinema in fabbrica e il Cineclub, esterno alla fabbrica organizzato dal Centro Culturale di “Comunità”. Il rapporto con il cinema della Olivetti non si limita alla promozione culturale, ma, come molte altre grandi aziende, si sviluppa anche nella “produzione” di cinema industriale. E anche in questo campo di distingue, dando spazio ad artisti e innovazione.
Questo evento per il 60°
getta uno sguardo sul cinema industriale della Olivetti attraverso i
filmati di “un milanese a Ivrea”, il regista Massimo Magrì.
Qui di seguito i filmati che saranno proiettati nella serata:
– Le regole del gioco, regia
di Massimo Magrì, testo di Franco Fortini, fotografia di Vittorio
Storaro, musiche di Evasio Roncarati (1968, durata 17’ e 30″)
– Software Olivetti, regia di Massimo Magrì (1969, durata 6’)
– Spot / Lettera 32 – Campagna Natale, regia di Massimo Magrì (1977-1978, durata 1’)
– Tempo in dare, regia di Massimo Magrì, testo Alberto Projettis, fotografia Giulio Albonico, montaggio Franco Gaioni (1969, durata 16’ e 58’’)
– Macchina cerca forma, regia di Massimo Magrì, soggetto di Ettore Sottsass (1970, durata 14’ e 36″)
– Per gioco. Macchine tradizionali, regia di Massimo Magrì (1970, durata 5’ e 48’’)
Interverranno Mariangela Michieletto (CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa), Enrico Bandiera (Associazione Archivio Storico Olivetti), Luigi Bellotto (Cineclub Ivrea)
Estratto da «Documentare il design» di Massimo Magrì
pubblicato su Disegno Industriale, n. 28/2007,
Numero unico su “Movie and design”.
Ho cominciato a fare cinema professionalmente nel 1968, fondando con un amico, Giacomo Battiato, una società di produzione, la Politecne cinematografica, che doveva occuparsi di cinema industriale in attesa di fare esperienza e quattrini per il cinema “vero”.
Questo è almeno quello che raccontavo a me stesso e ad agli amici e compagni che passavano una buona parte del loro tempo in assemblee e occupazioni. E che mi guardavano con perplessità e un certo divertito imbarazzo. Forse alcuni di loro sapevano che, a parte le ambizioni artistiche, avevo una grande fiducia nel mestè fa’ ben, avevo voglia di credere che esistesse un mondo industriale “buono” capace di esprimere qualità e cultura oltre che produzione di merci; e che, eventualmente, avrebbe accettato di essere corretto, messo in ordine e spiegato da me, in un racconto cinematografico.
Fummo fortunati: venne quasi subito una chiamata da parte di Ettore Sottsass che si era inventato, per uno stand Olivetti a una fiera, una macchina che faceva il verso al cinema dei primordi: una serie di visori che richiamavano quelli dei burlesque degli anni dieci.
Realizzammo due brevi filmati.
In uno un capellone indianeggiante trascinava al guinzaglio per Portofino una Praxis 48, nell’altro le immagini di cavalli che saltavano ostacoli erano mischiate a linee e forme di stabilimenti Olivetti e di terminali disegnati da Sottsass e Bellini.
In Olivetti nessuno si spaventò. Anzi, si incuriosirono.
Ci assegnarono un nuovo lavoro, un documentario sulla rivoluzione informatica e sui terminali.
Diventammo così collaboratori esterni dell’Olivetti. Da una parte entravamo in contatto con quella che era allora uno stile di management unico, con uomini della comunicazione aperti e problematici come Renzo Zorzi e Riccardo Felicioli, con un reparto pubblicitario che annoverava, tra gli altri, poeti come Franco Fortini e Giovanni Giudici, con designer come Bellini, Bonfanti, Von Klier e, ovviamente, lo stesso Sottsass. Dall’altra avevamo modo di imparare un modo di relazionarci al lavoro che sicuramente influenzò tutta la nostra carriera di registi-produttori.
Innanzitutto, sin dagli inizi, l’Olivetti si dimostrò interessata alle nostre proposte. Voleva lavorare con noi non perché ci considerasse i più bravi a mettere in bella copia il pensiero uscito dagli uffici marketing, ma ci aveva scelti perché pensava che il nostro modo di leggere l’oggetto e il suo design avesse senso per ragioni generazionali e culturali, e fosse quindi il modo giusto, più diretto e autentico, di evidenziare le qualità e il valore funzionale del progetto. Potevi, nei limiti di un lavoro industriale, non solo dire ma anche fare quello che ritenevi giusto.
Fu l’incontro con il mondo del design industriale di quegli anni.
Non che le altre aziende per cui giravamo documentari non “disegnassero” i loro prodotti. Le macchine Fiat, ad esempio. Ma gli altri non mettevano in cima alla comunicazione il design, sintesi delle intenzioni, delle capacità, delle caratteristiche dell’azienda e del prodotto.(…)
Per biografia di Massimo Magrì https://www.archiviomagri.com/biografia/