martedì 26 Agosto 2025
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Alessia Pifferi: La perizia psichiatrica e il trauma della maternità.

La testimonianza di Alessia Pifferi, descritta con la cruda formula “La mia mente si era disconnessa”, ha aperto un capitolo doloroso e complesso nel processo relativo alla tragica scomparsa della figlia Diana, avvenuta nel luglio 2022.

La perizia psichiatrica, disposta dalla Corte d’Assise d’appello di Milano, ha tentato di sondare le profondità di questa presunta disconnessione, giungendo a una conclusione apparentemente paradossale: la piena capacità di intendere e di volere dell’imputata al momento dei fatti che hanno portato alla morte di Diana.

Lungi dall’essere una semplice evasione di responsabilità, la sensazione di distacco mentale, secondo quanto emerso dagli accertamenti peritali, si configura come un fenomeno più sfumato e radicato, legato a una profonda difficoltà nell’esercizio della maternità.
Non si tratta, quindi, di un vizio di mente nel senso legale del termine, ma di una frattura nell’identità, di una perdita di connessione emotiva che ha compromesso la capacità di rispondere ai bisogni primari di una bambina di poco più di un anno.

La perizia ha evidenziato come Pifferi fosse in grado di pianificare le proprie azioni e di prevederne le conseguenze, compresa la sofferenza che l’abbandono avrebbe causato a Diana.
Questo implica una consapevolezza lucida della gravità delle proprie azioni, che rende ancora più sconcertante la loro messa in atto.
La “disconnessione” descritta dalla donna non è una negazione della realtà, ma una sorta di barriera psicologica che impedisce la traduzione della consapevolezza in azione, un abisso tra la comprensione intellettuale e la risposta emotiva.

La donna ha espresso in più occasioni un ricordo vivido e intensamente affettivo della vicenda, suggerendo una contraddizione apparente tra l’abbandono e il legame emotivo.
Questa contraddizione potrebbe essere interpretata come un tentativo di conciliare l’orrore delle proprie azioni con il desiderio di mantenere un’immagine positiva di sé come madre.

Le dichiarazioni di Pifferi, riportate negli atti della perizia, rivelano un profondo senso di isolamento e un rimpianto lacerante.

L’affermazione, “Se solo mia madre, mia sorella, il padre della bambina mi fossero stati davvero vicini, tutto questo non sarebbe accaduto”, suggerisce che il tragico evento sia stato alimentato da una carenza di supporto sociale e affettivo.

La mancanza di una rete di relazioni significative, capaci di offrire conforto e guida, potrebbe aver esacerbato le fragilità psicologiche della donna, portandola a compiere un gesto irreparabile.
La vicenda Pifferi solleva interrogativi profondi sulla natura della maternità, sulla responsabilità individuale e sul ruolo della società nel sostegno alle famiglie in difficoltà.
La tragica morte di Diana non è solo una tragedia personale, ma anche un campanello d’allarme che invita a riflettere sulle condizioni di vulnerabilità in cui si trovano molte donne e sulla necessità di offrire loro un supporto concreto e tempestivo per prevenire simili tragedie.

La perizia psichiatrica, pur fornendo elementi utili per comprendere la dinamica dei fatti, non può cancellare la gravità della perdita e la necessità di una profonda riflessione etica e sociale.

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