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Alessia Pifferi: Perizia complessa, tra neuroscienze e responsabilità genitoriale.

La vicenda di Alessia Pifferi e la tragica scomparsa della figlia, Maya, di soli diciotto mesi, continua a interrogare la coscienza collettiva, sollecitando un’analisi complessa che intreccia neuroscienze, diritto e responsabilità genitoriale.

Il processo di secondo grado, in corso presso la Corte d’Assise d’appello di Milano, ha visto la testimonianza di una commissione di esperti – lo psichiatra Giacomo Francesco Filippini, la neuropsicologa Nadia Bolognini e il neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni – incaricati di valutare la capacità di intendere e volere di Alessia Pifferi al momento degli eventi che portarono alla morte della figlia.

La perizia, apparentemente contraddittoria, si articola su un terreno delicato.

Da un lato, la diagnosi di un disturbo del neurosviluppo, con una persistente fragilità cognitiva e una matura affettiva compromessa, suggerisce una vulnerabilità psicologica che potrebbe aver contribuito alla decisione, irreversibile, di abbandonare la figlia.
Si ipotizza una disarmonia nello sviluppo cerebrale che, pur non escludendo una certa consapevolezza, potrebbe aver alterato significativamente la capacità di elaborazione emotiva e di giudizio.
Tuttavia, l’esito delle complesse valutazioni, basate su colloqui approfonditi in ambiente carcerario, revisione di documentazione clinica pregressa e somministrazione di test specifici, non ha evidenziato un’influenza determinante di questi disturbi sulla capacità di intendere e volere di Pifferi.

In altre parole, la commissione non ha ritenuto che le difficoltà neurocognitive e affettive abbiano sostanzialmente annullato la sua capacità di comprendere le conseguenze delle proprie azioni e di agire di conseguenza.
L’osservazione del neuropsichiatra infantile Benzoni introduce un ulteriore livello di riflessione.
Retrocedendo nel tempo, ipotizzando un esame di Alessia bambina con gli strumenti diagnostici odierni, si potrebbe aver diagnosticato un disturbo del neurosviluppo associato a una disabilità intellettiva lieve.
Questa ipotesi, pur non confermata dalla mancanza di documentazione clinica infantile completa, apre uno spiraglio sulla possibile presenza di vulnerabilità latenti, di difficoltà di apprendimento e di elaborazione emotiva che avrebbero potuto influenzare la sua traiettoria di sviluppo e, in ultima analisi, contribuire alla tragica decisione.

La complessità del caso risiede proprio nella difficoltà di isolare i fattori che hanno condotto a questo evento drammatico.

Oltre alle possibili fragilità neurocognitive, devono essere considerati fattori ambientali, esperienze traumatiche pregresse e dinamiche relazionali disfunzionali che potrebbero aver contribuito a compromettere la sua capacità di gestire lo stress e di adempiere ai suoi doveri genitoriali.
La sentenza, lungi dall’essere una semplice applicazione di norme giuridiche, dovrà tenere conto di questa intricata rete di elementi, bilanciando l’esigenza di accertare la responsabilità con la necessità di comprendere le cause profonde di una tragedia che ha privato una bambina di tutto.
Il dibattito sollevato non si limita al contesto giuridico, ma stimola una più ampia riflessione sulle responsabilità della società nel sostegno alle famiglie in difficoltà e nella prevenzione di situazioni di grave disagio infantile.

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