venerdì, 20 Giugno 2025
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Assoluzione con dubbi per il caso Jordan Tinti: riapre le ferite

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La vicenda legata alla tragica scomparsa di Jordan Tinti, il trapper noto come Jordan Jeffrey Baby, si infittisce di dettagli e interrogativi, culminando in un’assoluzione con formula dubitativa che lascia l’amaro in bocca alla famiglia e riapre ferite ancora sanguinanti. Il detenuto, precedentemente indagato per violenza sessuale ai danni del giovane artista, è stato assolto in sede di processo con rito abbreviato presso il tribunale di Pavia, una decisione che contrasta con le iniziali istanze di archiviazione formulate dalla Procura.Il percorso giudiziario è stato tutt’altro che lineare. La Procura, dopo una prima indagine, aveva espresso parere favorevole all’archiviazione, ma il giudice per le indagini preliminari, Luigi Riganti, aveva accolto l’opposizione presentata dall’avvocato Federico Edoardo Pisani, legale dei genitori di Jordan, determinando così la riapertura del caso e l’imputazione coatta del compagno di cella. La pubblica accusa, in un primo momento, aveva richiesto una pena di 2 anni e 8 mesi, tenendo conto delle circostanze attenuanti previste dal rito abbreviato rispetto a un quadro accusatorio più ampio che avrebbe portato a una pena base di 4 anni.L’assoluzione, seppur con riserva – espressa attraverso la formula dubitativa prevista dall’articolo 530, comma 2, del codice di procedura penale – segna una battuta d’arresto significativa nella ricerca della verità e della giustizia per Jordan. La famiglia, presente in aula, e il suo legale hanno espresso profondo disappunto, annunciando l’intenzione di impugnare la decisione, a prescindere dalle motivazioni che verranno fornite. L’avvocato Pisani ha sottolineato le incongruenze procedurali che hanno caratterizzato l’indagine, evidenziando come un’indagine inizialmente ritenuta insufficiente sia stata poi riaperta su impulso giudiziario. La denuncia di Jordan, le testimonianze di due agenti di custodia, un altro testimone e la documentazione medica proveniente dall’infermeria carceraria, elementi che sembravano indicare una responsabilità dell’imputato, non sono stati ritenuti sufficienti a superare il vaglio della giustizia in questa fase.La vicenda si intreccia con l’inchiesta ancora in corso sulla morte di Jordan Tinti. Inizialmente la morte del giovane era stata attribuita al suicidio, ma l’apertura di un fascicolo per omicidio colposo suggerisce che non si escludono altre ipotesi. Parallelamente, l’altro trapper, Gianmarco Fagà, già detenuto con Jordan e condannato per maltrattamenti, ha ricevuto una pena di tre anni e un mese di reclusione, in relazione alle aggressioni subite dal 26enne.La complessità della situazione, l’apparente contrasto tra le evidenze raccolte e la decisione assunta, sollevano interrogativi profondi sulla corretta gestione della giustizia carceraria e sulla necessità di garantire la sicurezza e la tutela dei detenuti, soprattutto quando vulnerabili. L’amarezza della famiglia Tinti e la determinazione del suo legale a perseguire la ricerca della verità testimoniano la persistente richiesta di giustizia per Jordan Jeffrey Baby, un talento spezzato troppo presto.

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