Un’azione legale inedita si prepara a sollevare un velo su dinamiche di sfruttamento e umiliazione online, offrendo una via di risarcimento per donne vittime di violenza identitaria perpetrata attraverso piattaforme digitali.
L’avvocata Annamaria Bernardini de Pace, affiancata dal penalista David Leggi, ha annunciato l’intenzione di promuovere una class action rivolta a tutte le donne che abbiano subito lesioni profonde alla loro identità femminile a causa di abusi online, mirando a ottenere un risarcimento danni nei confronti di Facebook, in particolare per la gestione e la proliferazione del gruppo “Mia moglie”.
Questo gruppo, divenuto un focolaio di comportamenti inaccettabili, ha rappresentato un terreno fertile per la diffusione non consensuale di immagini private, alimentando una cultura di oggettivazione e disumanizzazione femminile.
L’azione legale non si limita a contestare la mera ospitalità di immagini intime, ma mira a denunciare la connivenza di Facebook nella creazione e nel mantenimento di un ambiente che facilita e incoraggia la violenza di genere digitale.
La class action si fonda sulla constatazione che l’uso improprio di immagini private, la condivisione non autorizzata di dati personali e la creazione di spazi virtuali dedicati alla mercificazione del corpo femminile rappresentano forme di violenza che lesinano diritti fondamentali e causano danni irreparabili alle vittime.
Si tratta di un fenomeno complesso che interseca questioni di diritto d’immagine, protezione dei dati personali, diritto alla riservatezza, diritto all’identità e diritto alla dignità.
L’iniziativa legale non si esaurisce con la contestazione di Facebook.
Gli avvocati stanno approfondendo l’analisi di casi simili, come quello del sito Phica.
eu, con l’obiettivo di perseguire legalmente anche altri soggetti responsabili di dinamiche analoghe.
L’indagine mira a definire con precisione le responsabilità delle piattaforme digitali, evidenziando la loro obbligazione di implementare misure adeguate per prevenire la diffusione di contenuti lesivi e proteggere gli utenti da abusi.
L’azione legale si pone come un atto di rivendicazione di un diritto all’autodeterminazione e alla protezione online, auspicando un cambiamento culturale che contrasti la violenza di genere digitale e promuova un utilizzo consapevole e rispettoso delle piattaforme digitali.
Il caso solleva interrogativi cruciali sulla responsabilità delle aziende tecnologiche, sulla necessità di una legislazione più incisiva e sulla funzione della società civile nel tutelare le vittime e prevenire la perpetrazione di tali abusi.
L’obiettivo finale è quello di creare un precedente legale che rafforzi la protezione delle donne online e contribuisca a costruire un ambiente digitale più sicuro e rispettoso per tutte.