La vicenda che emerge dal cuore di Milano, riportata con enfasi sulla stampa locale, solleva una dolorosa riflessione sulle condizioni di vulnerabilità in cui possono trovarsi i minori e sulla responsabilità collettiva che ne consegue.
Al centro della narrazione, dieci ragazzi, dai quattro ai diciassette anni, strappati al contesto del campo nomadi di via Selvanesco, un microcosmo di marginalità e disagio sociale.
La loro storia, tragicamente intrecciata con la morte di Cecilia De Santis, una donna investita e uccisa da un’auto rubata guidata da alcuni di loro, è solo la punta dell’iceberg di una situazione più ampia e complessa.
L’intervento dei vigili urbani, seguito da sopralluoghi mirati del Nucleo Problemi del Territorio della Polizia Locale, ha svelato un quadro allarmante.
Non si trattava semplicemente di un’abitazione precaria, ma di un ambiente privo delle condizioni minime di dignità: assenza di corrente, mancanza di acqua potabile per l’igiene personale, un isolamento sociale profondo.
Questi ragazzi, che non risultano iscritti all’anagrafe studenti e privi di opportunità di crescita culturale, artistica o sportiva, trascorrevano le loro giornate in un contesto degradato, esposti a rischi e privazioni.
La decisione di allontanare i minori dall’ambiente familiare, a tutela della loro incolumità e sviluppo, è stata presa in base all’articolo 403 del codice civile, che attribuisce alla pubblica autorità il dovere di intervenire quando il minore si trova in una situazione di grave pregiudizio e pericolo.
L’affidamento a comunità protette, in collaborazione con i servizi sociali del Comune, rappresenta un tentativo di offrire loro un ambiente sicuro e stimolante, lontano dalle condizioni di degrado e abbandono che li avevano caratterizzati.
La convalida dei provvedimenti da parte del Tribunale per i Minorenni, con la sospensione della potestà genitoriale e la fissazione di un’udienza, sottolinea la gravità della situazione e l’urgenza di una risposta legale e sociale.
Tuttavia, la vicenda non si esaurisce con l’affidamento dei minori a strutture protette.
Si apre un interrogativo più ampio: come è stato possibile che questi ragazzi vivessero in condizioni così drammatiche? Quali sono le cause profonde della loro marginalizzazione? Quali misure possono essere adottate per prevenire situazioni simili in futuro?La storia dei dieci minori di via Selvanesco è un campanello d’allarme che interpella l’intera comunità, invitando a riflettere sulla necessità di un impegno più forte nella tutela dei diritti dei bambini e dei ragazzi, e nella promozione di politiche sociali mirate a contrastare la povertà, l’emarginazione e la devianza minorile.
Non si tratta solo di offrire un rifugio sicuro, ma di costruire un futuro di opportunità e inclusione per tutti.
La vicenda, pur nella sua tragicità, può e deve rappresentare un punto di partenza per un cambiamento profondo e duraturo.