L’inchiesta milanese relativa al complesso immobiliare “The Nest”, denominato anche “il Nido”, culmina con la chiusura delle indagini preliminari a carico di dieci persone, tra cui esponenti apicali dell’amministrazione comunale e un ex presidente della Commissione Paesaggio.
Il caso, che si aggiunge a una serie di approfondimenti sulla gestione urbanistica della città, solleva interrogativi cruciali sul rapporto tra sviluppo edilizio, legalità e tutela del bene comune.
Al centro della vicenda, due edifici di sei piani, comprensivi di uno seminterrato e uno interrato, eretti in via Fontana, in prossimità del Palazzo di Giustizia, al posto di una preesistente autorimessa.
Secondo l’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Giancarla Serafini, sotto la direzione del dipartimento guidato da Tiziana Siciliano, la realizzazione delle due palazzine, già vendute a terzi acquirenti, avrebbe bypassato le normative urbanistiche attraverso una pratica di autorizzazione semplificata, la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), presentata come mera ristrutturazione di un immobile preesistente, mascherando in realtà una nuova costruzione.
L’indagine, che coinvolge anche i legali rappresentanti delle società promotrici e costruttrici (tra cui spicca il nome di Mirko Paletti, legato a Filcasa), i progettisti, i direttori dei lavori e i responsabili delle imprese edili, mette a fuoco una presunta catena di responsabilità che si estende dall’esecuzione dei lavori all’approvazione delle pratiche edilizie.
Particolarmente rilevanti le figure di Carla Barone e Francesco Mario Carrillo, funzionari comunali già al centro di altre indagini, e di Marco Stanislao Prusicki, ex presidente della Commissione Paesaggio.
Il quadro ricostruito dalla Procura evidenzia una potenziale violazione sistematica del quadro normativo urbanistico, un modello che si è ripetuto in altre iniziative edilizie, rivelando una possibile erosione dei controlli e una lassità nell’applicazione delle leggi.
La realizzazione del complesso “The Nest” avrebbe dovuto prevedere l’approvazione di un piano attuativo, volto a garantire l’integrazione dell’intervento con il contesto urbano e a prevedere servizi a beneficio dei residenti.
Invece, si sarebbe optato per un atto unilaterale, in cui il costruttore si impegnava a rispettare le indicazioni della Commissione Paesaggio, un approccio giudicato dalla pm insufficiente a tutelare l’interesse pubblico e la collettività, soprattutto in termini di incremento del carico urbanistico.
Tra i reati contestati, figura un presunto falso relativo alla variazione dell’altezza dell’edificio, sottolineando la manipolazione dei documenti a supporto della realizzazione del progetto.
L’inchiesta si inserisce in un contesto più ampio, che comprende approfondimenti su altri complessi immobiliari, quali Scalo House, Residenze Lac e Il Giardino Segreto, suggerendo una problematica diffusa nel settore edile e nella gestione urbanistica della città.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla necessità di rafforzare i controlli, ripristinare la trasparenza e garantire il rispetto delle normative a tutela del bene comune e della qualità della vita urbana.