L’episodio di vandalismo che ha colpito il murale dedicato al Patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, esposto sulle pareti della Curia di Milano, solleva interrogativi complessi che vanno ben oltre la semplice perdita di un’opera artistica.
L’atto, perpetrato da aleXandro Palombo, figura già nota per simili gesti offensivi nei confronti di altre creazioni artistiche, ha comportato l’annerimento con vernice due immagini emblematiche: la rappresentazione struggente di un bambino palestinese raffigurato con una pentola vuota, simbolo di una realtà segnata dalla carenza e dalla sofferenza, e la figura benediciente del Patriarca, espressione di speranza e di impegno pastorale.
La decisione di rimuovere l’opera, comunicata con profondo rammarico dall’ufficio stampa della Curia, non è stata presa a cuor leggero.
La gravità del gesto, unita all’impossibilità di una riparazione efficace che non alterasse l’integrità dell’immagine originaria, ha reso la rimozione l’unica via praticabile.
Tuttavia, l’evento non deve essere letto solo come un atto di distruzione materiale.
Esso si configura come una manifestazione di profonda dissenso, una forma, seppur deplorevole, di espressione di un malessere che permea il dibattito pubblico sulla questione palestinese e sul ruolo della Chiesa.
L’atto vandalico invita a una riflessione più ampia: sulla libertà di espressione, sui limiti del dissenso, sulla necessità di trovare canali pacifici e costruttivi per esprimere opinioni divergenti.
L’opera, con la sua composizione iconica e la sua narrazione visiva, era destinata a stimolare il dialogo e la comprensione tra culture diverse.
La sua scomparsa, paradossalmente, amplifica la necessità di un confronto aperto e sincero sulle problematiche che emergono dalla rappresentazione artistica.
La vicenda pone, inoltre, interrogativi sul ruolo dell’arte pubblica e sulla sua capacità di affrontare temi sensibili e controversi.
Un murale, per sua natura, è un messaggio rivolto alla collettività, un’opportunità per sensibilizzare e promuovere la riflessione.
Il vandalismo, in questo contesto, rappresenta un attacco non solo all’opera d’arte in sé, ma anche alla possibilità di un dibattito pubblico aperto e informato.
La Chiesa, chiamata a essere voce dei più deboli e promotrice di pace, dovrà affrontare con responsabilità questa sfida, cercando di trasformare un atto di distruzione in un’occasione per rafforzare il dialogo e la comprensione reciproca.




