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mercoledì 5 Novembre 2025

Via Fauchè: Sentenza Shock sul Nuovo Edificio Mascherato

La recente sentenza del Consiglio di Stato, rafforzando il precedente verdetto del Tar Lombardia, solleva interrogativi cruciali sulla corretta interpretazione e applicazione delle normative in materia di intervento edilizio, con implicazioni di vasta portata per la gestione urbanistica e la responsabilità degli operatori del settore.
Il caso specifico, che coinvolge un intervento immobiliare in via Fauchè a Milano, si configura come un esempio emblematico delle distorsioni possibili quando si tenta di eludere i controlli previsti dalla legge, mascherando una nuova costruzione sotto le vesti di una ristrutturazione ricostruttiva.

L’intervento in questione, che prevedeva la demolizione di un preesistente edificio adibito a laboratorio e la sua sostituzione con una palazzina residenziale multipiano, con presenza di locali interrati, ha innescato un contenzioso legale che ha portato alla qualificazione dell’opera come “nuova edificazione” e, di conseguenza, alla necessità di un titolo abilitativo di tipo “permesso di costruire”.
Questa qualificazione si discosta significativamente dalla precedente interpretazione che avrebbe consentito l’utilizzo della Super-Scia, un atto di natura dichiarativa che, in teoria, semplifica l’avvio di attività edilizie minori.

La discrepanza nell’interpretazione normativa non è solo una questione tecnico-giuridica, ma riflette una problematica più ampia riguardante la trasparenza e la correttezza delle pratiche edilizie.
L’operazione di mascheramento, secondo quanto sostenuto dall’accusa, ha lo scopo di evitare l’esame approfondito e i controlli stringenti che un permesso di costruire comporta, tra cui la valutazione dell’impatto sull’ambiente, la verifica della conformità al piano regolatore e la predisposizione di un piano particolareggiato che tenga conto delle esigenze della comunità locale.
Un elemento chiave nella decisione del Tar e confermato dal Consiglio di Stato è la mancanza di certezza riguardo alle caratteristiche volumetriche e geometriche dell’edificio preesistente, cioè quello che si sarebbe dovuto “ricostruire”.

In altre parole, non è stato dimostrato con sufficiente chiarezza quale fosse l’ingombro effettivo dell’edificio demolito, rendendo difficile accertare se la nuova costruzione rientrasse effettivamente nei limiti volumetrici consentiti.
Questa mancanza di trasparenza solleva dubbi sulla reale volontà di conservare l’essenza dell’edificio originario.

La sentenza non si limita a sanzionare l’illegittimo atto di accertamento di conformità rilasciato dal Comune, ma apre uno scenario più ampio che potrebbe coinvolgere ulteriori responsabilità a carico di chi ha promosso e realizzato l’intervento.
Il procedimento penale in corso, che accusa i soggetti coinvolti di abuso edilizio e lottizzazione abusiva, potrebbe portare a conseguenze significative, inclusa la demolizione dell’opera abusiva.

Il caso di via Fauchè, pertanto, assume un valore simbolico, evidenziando l’importanza di un’interpretazione rigorosa delle normative urbanistiche e l’esigenza di garantire un controllo effettivo sull’attività edilizia, al fine di tutelare il bene comune e prevenire fenomeni di illegalità che minano la credibilità del sistema urbanistico.
La sentenza del Consiglio di Stato rappresenta un monito per tutti gli operatori del settore e un invito alla ripresa di un approccio più responsabile e trasparente nella gestione del territorio.

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