L’infanzia, scrigno di innocenza e specchio del futuro, si rivela attraverso le opere di Valerio Berruti, in una mostra dirompente, ‘More than kids’, esposta a Palazzo Reale di Milano.
Un titolo che sovverte le aspettative, svelando che quei bambini, soggetti privilegiati del suo immaginario artistico, non sono semplicemente fanciullezza, ma proiezioni del nostro stesso essere, custodi di una verità scomoda.
Berruti, pittore e scultore, racconta di come, da bambino, l’immagine della madre intenta a contemplare una fotografia d’infanzia, scatenasse in lui un profondo turbamento.
Quel momento, imprigionato nell’eco del tempo, ha germinato in un’opera che non si limita a rappresentare l’infanzia, ma la eleva a voce di coscienza.
Un grido che emerge dagli sguardi fissi, penetranti, dei suoi protagonisti, invitando l’osservatore a confrontarsi con le ferite del mondo.
La mostra si apre con un colosso di marmo, una bambina rivolta al cielo, il dito puntato con accusa.
“Don’t let me be wrong,” la sua silenziosa esortazione, accompagnata dalle vibrazioni cupe e potenti di Daddy G dei Massive Attack.
Un monito severo, un campanello d’allarme che risuona nella mente dello spettatore, catapultandolo di fronte alla catastrofe climatica incombente.
Proseguendo nel percorso espositivo, l’attenzione si posa su una bambina sospesa nel vuoto, aggrappata disperatamente a un salvagente.
Un’immagine potente che evoca il dramma delle migrazioni, il dolore di chi fugge da guerre, persecuzioni, fame.
“Un mondo nuovo”, l’installazione che segue, gioca con le ombre e la luce, delineando sagome silenziose sulle pareti di palazzo Reale.
Un’opera che, con la sua composizione astratta, amplifica il senso di smarrimento e precarietà.
Un’eccezione, “L’abbraccio più forte”, è un’opera che commuove per la sua umanità.
È un’opera nata con uno scopo nobile, il sostegno all’ospedale di Verduno, nel Cuneese, finanziando anche un ambulatorio mobile per le comunità rurali.
L’abbraccio, gesto semplice e universale, diventa simbolo di solidarietà e speranza.
Il cuore della mostra è costituito dalle opere che denunciano l’inerzia umana di fronte alla crisi climatica e ai conflitti.
“Nel silenzio” presenta corpi segnati dalla siccità, testimonianza di un futuro desolante.
“Nel nome del padre” è un’opera di profonda riflessione sulla guerra: quarantadue bambini, identici nel volto ma diversi nell’acconciatura, fissano una coetanea con lo sguardo basso, incapace di stabilire un contatto visivo.
Chi è lei? Cosa rappresenta? Berruti lascia spazio all’interpretazione, stimolando il pensiero critico e l’empatia.
La mostra si conclude con un’inaspettata nota di leggerezza: una giostra candida, con passerotti al posto dei cavallini, che ruota al suono della musica suggestiva di Ludovico Einaudi.
Un momento di evasione, una promessa di bellezza e speranza in un mondo segnato da troppe ombre.
Berruti, con la sua arte potente e commovente, ci invita a riscoprire l’innocenza, a coltivare l’empatia e a prenderci cura del futuro, perché i bambini, in fondo, siamo noi.