venerdì, 13 Giugno 2025
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Bartoli e Gluck: un Orfeo illuminante a Cremona

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L’inclusione dell’Orfeo ed Euridice di Gluck nel cartellone del Monteverdi Festival di Cremona, al di là di ogni apparente disarmonia programmatica, si è rivelata un’illuminante riflessione sul melodramma stesso, grazie alla presenza scenica e vocale di Cecilia Bartoli. Un evento definito “speciale” dal sito del festival non era un’iperbole, ma la precisa constatazione di un’esperienza artistica a tutto tondo, curata nei minimi dettagli, dove ogni scelta stilistica e interpretativa si configura come parte integrante di un progetto coerente.Bartoli non è semplicemente un’interprete, ma l’architrave dello spettacolo. Il suo arrivo a Cremona si è concretizzato con la sua orchestra di riferimento, Les Musiciens du Prince di Monaco, diretta dal maestro Gianluca Capuano, creando un ecosistema performativo perfettamente calibrato. L’Orfeo che emerge dal buio è un personaggio stratificato: un uomo divorato dall’amore e tormentato dal dolore, incarnato da un tailleur pantalone nero, simbolo di lutto e perdita, che si trasforma in bianco quando il protagonista si avventura negli inferi alla ricerca di Euridice (Melissa Petit, che assume anche il ruolo di Amore). La voce di Bartoli, di una bellezza e precisione ineguagliabili, avrebbe da sola suffragato l’emozione della serata nell’intimità del Teatro Ponchielli. Ma la sua abilità trasciende il mero virtuosismo vocale: è un’attrice capace di comunicare con il pubblico attraverso gesti, sguardi e una profonda comprensione del testo. L’assenza di scenografie tradizionali non si percepisce come una limitazione, bensì come una scelta volta a concentrare l’attenzione sui corpi dei due cantanti e sull’essenziale gioco di luci, orchestrato con maestria. Il coro “Il canto di Orfeo”, diretto da Jacopo Facchini, si erge a corollario di questo dramma gluckiano (nella sua versione parmense del 1769), amplificandone la potenza emotiva e la dinamica narrativa, offrendo un’esperienza più coinvolgente rispetto a molte produzioni operistiche contemporanee.Il silenzio prolungato che ha seguito l’esecuzione degli ultimi versi, interrotto solo dal tremolio dei ceri che illuminavano il pubblico, ha rappresentato un momento di sospensione collettiva, un riconoscimento silenzioso della forza espressiva dello spettacolo. L’esplosione finale di applausi, culminata in una standing ovation, non è stata una semplice dimostrazione di apprezzamento, ma un tributo sincero alla capacità di Bartoli e della sua compagnia di aver evocato un universo emotivo profondo e universale.Questa performance, più che un semplice prologo, si configura come una dichiarazione di intenti per l’intero festival, che si inaugura ufficialmente questa sera con Il ritorno di Ulisse in patria, un’opera che vedrà il ritorno eccezionale di Davide Livermore, non solo in veste di regista, ma anche come interprete del ruolo di Iro, promettendo una nuova incursione nel mondo dell’opera e della sua interpretazione.

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