martedì 12 Agosto 2025
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Milena Canonero: Passione, Oscar e la Magia del Costume

Milena Canonero, icona indiscussa del costume cinematografico e destinataria del prestigioso Vision Award di Ticinomoda, incarna un percorso professionale intriso di passione, ricerca e una straordinaria capacità di sintesi creativa.
La sua storia, narrata con disarmante semplicità allo Spazio Cinema del Festival di Locarno, svela un’evoluzione artistica inattesa, partendo da un gesto apparentemente marginale – prestare un paio di jeans a un’attrice – fino a raggiungere l’apice del successo con quattro Oscar.

Canonero sottolinea come il cammino dei costumisti di talento spesso converga verso approcci simili, riconoscendo l’influenza di figure seminali come Piero Tosi, un punto di riferimento perduto che continua a ispirare.

L’arte del costume, per lei, è intrinsecamente collaborativa, un dialogo continuo con registi e altri membri del team, un’immersione in un universo culturale e visivo che trascende la mera fattibilità tecnica.
Il suo genio, pur radicato in una costante ricerca e in un’apprendimento continuo – a dispetto di studi interrotti – si manifesta nella capacità di trasformare un concetto, un’emozione, in un abito, in un tessuto, in un’identità visiva.

L’esperienza formativa con Stanley Kubrick, attraverso “Arancia Meccanica”, si rivela un momento cruciale, tanto da farla vacillare sulla scelta di una carriera registica.

L’intervento della moglie di Kubrick, che ne intuì il potenziale, si configura come un atto di mecenatismo artistico, aprendole le porte di un mondo.

La sua capacità di instaurare rapporti di profonda collaborazione con i registi è un tratto distintivo.
Contrasta l’approccio di Kubrick, che lascia ampio spazio all’interpretazione e all’iniziativa del costumista, con la meticolosità di Wes Anderson, che partecipa attivamente al processo creativo.
Con Anderson, si crea una vera e propria simbiosi, un’esplorazione condivisa di colori, tessuti e forme che elevano il costume a elemento narrativo fondamentale.
L’aneddoto relativo al “Grand Budapest Hotel” illustra perfettamente questa sinergia.
La volontà di Anderson di allontanarsi dalle convenzioni cromatiche delle uniformi militari, si traduce in una ricerca estenuante di un colore che trascenda le aspettative.
La scoperta di una tonalità che muta sotto la luce, rivelandosi un viola inaspettato, scatena l’entusiasmo del regista, che ne riconosce immediatamente il potenziale.
Questa stessa scelta cromatica, inattesa e audace, contribuisce a definire l’estetica ricercata e la magia visiva che caratterizzano l’intero film, rivelando, in ultima analisi, l’importanza della serendipità e dell’intuizione nel processo creativo.

La sua capacità di adattarsi e di interpretare la visione del regista, pur mantenendo la propria identità artistica, la rende una figura unica nel panorama cinematografico mondiale.

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