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Su Cane Est Su Miu: Infanzia, Colpa e Silenzi Sardi

L’eco di un’impotenza infantile, la sensazione di essere paralizzati in un incubo adulto, si materializza con forza in “Su cane est su miu”, cortometraggio di Salvatore Mereu presentato al Festival di Locarno.

È una vergogna silenziosa, la costrizione a un’innocenza privata, la precarietà del piccolo di fronte alla forza implacabile del mondo.

L’opera attinge liberamente da un racconto di Salvatore Cambosu del 1946, un’istantanea vivida dell’entroterra sardo degli anni ’70, un tempo segnato da una dura economia di sussistenza e da un’autorità indiscutibile.
La narrazione si snoda attorno a un atto apparentemente banale: l’affidamento di alcune tortore.
Jacopo le riceve e le passa a Giaime, il cui cane, Miggia, in un gesto inaspettato e distruttivo, libera gli uccelli.

Il cortometraggio non si concentra tanto sull’evento in sé, quanto sulle ripercussioni emotive e sulle dinamiche di potere che ne derivano.

Il peso della verità ricade sul piccolo Giaime, costretto a comunicare a Tommaso, il vero responsabile della cattura degli uccelli, che sono scomparsi.

L’opera esplora la vulnerabilità dell’infanzia di fronte alla prepotenza adulta, la violenza che può manifestarsi in forme sottili ma devastanti.

La punizione non colpisce il responsabile diretto, ma si abbatte sul più debole, evidenziando una distorsione della giustizia e una profonda ingiustizia.

L’ineluttabilità del destino infantile si fa sentire, accentuata dall’impossibilità di intercedere, di modificare il corso degli eventi.
Mereu rivela come la scelta di un racconto spesso nasca da un impulso irrazionale, da una risonanza interiore che si manifesta solo a posteriori.

Pur non avendo mai assistito a scene simili a quelle rappresentate, ha percepito una verità universale, un’ombra che si cela dietro la patina idealizzata dell’infanzia.

Il regista rifiuta la narrazione convenzionale, quella che dipinge l’età infantile come un paradiso incontaminato, scegliendo invece di svelare le sue crepe, le sue fragilità.
La scelta di attori non professionisti, reclutati tra le scuole di alcune comunità rurali, è cruciale per la veridicità e l’autenticità dell’opera.
Questi ragazzi, estranei al mondo del cinema, portano con sé una naturalezza, una genuinità che arricchisce i personaggi.

La loro innocenza, la loro vulnerabilità, amplificano l’impatto emotivo del cortometraggio.
La timore del regista per le capacità di Giaime, il giovane attore che interpreta il ruolo del bambino, si rivela infondato: la sua interpretazione è intensa, commovente, capace di trasmettere un’ampia gamma di emozioni.
“Su cane est su miu” è un cortometraggio che scava nel profondo dell’animo umano, interrogando la natura della colpa, della responsabilità, della giustizia e dell’innocenza perduta.
È un’opera che risuona con forza, lasciando nello spettatore un senso di malinconia e una profonda riflessione sulla condizione umana.

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