Milano, fulcro economico e finanziario d’Italia, si trova ad affrontare una sfida cruciale per il suo ruolo di protagonista nel panorama calcistico europeo.
L’eredità di Milan e Inter, due club simbolo della città, rischia di essere offuscata da una situazione infrastrutturale che la relega ai margini, evidenziando una profonda disconnessione tra ambizioni sportive e capacità di accogliere eventi di portata mondiale.
L’esclusione da candidature per finali di Champions League e per i prossimi Campionati Europei del 2032 non è una coincidenza, ma il sintomo di un sistema zavorrato da inerzia politica e obsolescenza strutturale.
Le parole di Beppe Marotta, amministratore delegato dell’Inter, risuonano come un campanello d’allarme: un’ostinata resistenza al cambiamento, incarnata da figure politiche legate a logiche del passato, sta soffocando l’innovazione e impedendo all’infrastruttura sportiva milanese di evolvere.
San Siro, icona di emozioni calcistiche indimenticabili e testimone della storia di due club, merita rispetto, ma la sua condizione attuale – intrinsecamente legata a costi di manutenzione elevati e a limiti funzionali – ne impone una revisione radicale.
L’esempio di Wembley, abbattuto e ricostruito per rispondere alle esigenze di un calcio moderno, rappresenta un paradigma da seguire.
La visione di Marotta è chiara: un nuovo impianto, collocato in prossimità del San Siro, finanziato interamente da investimenti privati delle due società, diventerebbe un motore di sviluppo per l’intera area.
Non solo migliorerebbe l’esperienza dei tifosi, ma genererebbe anche un impatto positivo sull’economia locale, creando opportunità di lavoro e incrementando il flusso turistico.
La disparità di ricavi tra Milan e Inter rispetto ai club più competitivi in Europa è allarmante.
Mentre i club europei di punta incassano centinaia di milioni di euro per eventi e diritti televisivi, i club milanesi si attestano a cifre significativamente inferiori, limitando la loro capacità di competere a livello internazionale.
Questo divario è strettamente legato alla vetustà delle infrastrutture, che impedisce di massimizzare i ricavi derivanti da eventi e sponsorizzazioni.
La realtà è che l’Italia, nel suo complesso, è spaventosamente indietro rispetto al resto d’Europa in termini di costruzione e ammodernamento di stadi.
La percentuale di ristrutturazioni, pari a un magro 1%, riflette una cronica mancanza di visione strategica e di volontà politica di investire nel futuro del calcio italiano.
L’assenza di un nuovo impianto a Milano, cuore pulsante del calcio italiano, rischia di costringere Milan e Inter a cercare alternative al di fuori del comune, un’opzione che segnerebbe un duro colpo per l’identità calcistica della città.
La volontà di realizzare questo progetto in sinergia, già sancita da un accordo tra i due club, testimonia l’impegno privato a risolvere una situazione che il settore pubblico sembra incapace di affrontare.
La garanzia di un investimento totalmente privato, senza alcun onere per i contribuenti, rende la proposta ancora più allettante e in grado di superare le resistenze ideologiche che ne ostacolano l’approvazione.
In sintesi, la questione non è solo una rivendicazione calcistica, ma una questione di competitività, di sviluppo economico e di immagine per l’intera nazione.