Francisco Franco Bahamonde, figura titanica e controversa del Novecento, spirò il 20 novembre 1975, ponendo fine a un regime autoritario che aveva segnato profondamente la Spagna per quasi quattro decenni.
Lungi dall’essere un semplice dittatore, come suggerisce l’etichetta spesso utilizzata, Franco incarna una complessità storica che sfida una comprensione superficiale.
La definizione di “meno conosciuto”, avanzata da Paul Preston nella sua monumentale biografia, suona paradossale in considerazione dell’impatto globale del suo governo e delle persistenti ombre che esso proietta ancora oggi.
Franco non fu un semplice autocrate che salì al potere per mera ambizione.
La sua ascesa fu il risultato di una concatenazione di eventi drammatici: la fragilità della Seconda Repubblica spagnola, la sanguinosa Guerra Civile che dilaniò il paese, la conseguente necessità di un potere forte in grado di ristabilire l’ordine.
La sua figura, inizialmente percepita da alcuni come un salvatore, si cristallizzò rapidamente in un regime repressivo, caratterizzato dalla soppressione delle libertà civili, dalla censura, dalla persecuzione politica e dall’eliminazione sistematica dell’opposizione.
Il “caudillo”, come si autodefinì Franco, non fu un innovatore ideologico.
Il suo pensiero si basava su un conservatorismo intransigente, un nazionalismo esasperato, un cattolicesimo integralista e un’interpretazione gerarchica e autoritaria della società.
La sua politica estera, inizialmente allineata con le potenze dell’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale, si orientò successivamente verso un opportunistico neutralismo, sfruttando la Guerra Fredda per consolidare il potere e ottenere aiuti economici.
La vittoria nella Guerra Civile non significò la fine del conflitto, ma l’inizio di una lenta e dolorosa ricostruzione, sia materiale che sociale.
La “Depuración”, la purga di elementi considerati “sovversivi”, eliminò intellettuali, artisti, sindacalisti e chiunque non si conformasse all’ideologia del regime.
La repressione si estese a tutte le forme di espressione culturale e politica, creando un clima di paura e sottomissione.
Franco governò non solo attraverso la forza, ma anche attraverso un’abile manipolazione del consenso.
La propaganda, onnipresente e martellante, esaltava la figura del “caudillo” come padre della patria, garante della stabilità e custode dei valori tradizionali.
La Chiesa Cattolica, forte alleata del regime, contribuì a legittimare il potere di Franco, predicando l’obbedienza e la sottomissione.
Negli anni ’60, la Spagna conobbe un periodo di crescita economica, grazie allo sviluppo del turismo e all’emigrazione di lavoratori verso l’Europa.
Questo sviluppo, sebbene significativo, non attenuò la repressione politica e le restrizioni alle libertà individuali.
La resistenza al regime continuò a manifestarsi in varie forme, dalle proteste sindacali alle attività clandestine di gruppi politici.
La morte di Franco, nel 1975, aprì una nuova era per la Spagna.
La transizione alla democrazia, guidata da Re Juan Carlos I, fu un processo complesso e delicato, che richiese compromessi e concessioni da tutte le parti.
La memoria del franchismo rimane ancora oggi un tema sensibile e oggetto di dibattito, e la piena riconciliazione con il passato rappresenta una sfida ancora da affrontare.
La figura di Francisco Franco, pertanto, non può essere relegata a un semplice capitolo chiuso della storia spagnola, ma continua a stimolare riflessioni profonde sulla natura del potere, sulla responsabilità individuale e sulla necessità di preservare la democrazia.








