Durante un’operazione mirata all’interno del reparto di massima sicurezza del carcere di Secondigliano, agenti della polizia penitenziaria hanno recuperato un significativo quantitativo di dispositivi elettronici e un’arma bianca, mettendo in luce la persistente sfida nel garantire la sicurezza e il controllo all’interno del sistema carcerario.
 La scoperta, che include ben diciassette telefoni cellulari – quattordici smartphone completi e tre micro-telefoni – unitamente a un coltello a serramanico, solleva interrogativi complessi sulle strategie di contrabbando e sulla capacità di aggirare le misure di sicurezza.
L’episodio non può essere interpretato come un semplice incidente, ma piuttosto come un sintomo di una problematica strutturale che affligge le istituzioni detentive.
L’elevato numero di dispositivi recuperati suggerisce un’organizzazione sottostante, una rete di supporto esterna che facilita l’introduzione di oggetti proibiti all’interno del carcere.
 Questi cellulari, in particolare, rappresentano uno strumento di potenziali reati, consentendo ai detenuti di mantenere contatti illeciti con l’esterno, coordinare attività criminali, influenzare testimoni e persino ostacolare le indagini giudiziarie.
 Il coltello a serramanico, a sua volta, incrementa il rischio di violenza e mette a repentaglio l’incolumità del personale penitenziario e degli altri detenuti.
L’Unione Sindacale di Polizia Penitenziaria (USPP) ha espresso apprezzamento per l’attività di prevenzione svolta dal personale del carcere di Secondigliano e dalla direzione, riconoscendo l’importanza di un controllo accurato e costante.
 Tuttavia, il sindacato ribadisce con forza una problematica segnalata ripetutamente ai vertici dell’amministrazione e ai rappresentanti politici: la necessità di investire in tecnologie avanzate per contrastare efficacemente il fenomeno del contrabbando.
 L’introduzione di sistemi di inibizione dei segnali radio, cosiddetti “jammer”, rappresenta una soluzione tecnica cruciale per bloccare le comunicazioni illecite all’interno del carcere e per neutralizzare le attività criminali che si avvalgono di questi canali.
La questione non si limita all’adozione di strumenti tecnologici, ma richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga potenziamento delle risorse umane, rafforzamento dei controlli a livello perimetrale e approfondimento delle indagini sui canali di approvvigionamento.
La sicurezza carceraria è un bene primario per la collettività e la sua tutela implica un impegno costante e coordinato da parte di tutte le istituzioni coinvolte.
 Ignorare o sottovalutare la sfida rappresentata dal contrabbando significa compromettere l’ordine pubblico e mettere a rischio la riabilitazione dei detenuti.
 L’episodio di Secondigliano è un campanello d’allarme che invita a una riflessione seria e a un’azione concreta.



                                    



