L’affermazione di Aurelio De Laurentiis, pronunciata durante l’apertura del Giffoni Film Festival, ha sollevato un dibattito inatteso: l’intelligenza artificiale, vista da molti come una minaccia all’industria cinematografica, è per lui un’opportunità irrinunciabile.
“Mi arrapa da morire”, ha dichiarato, sottolineando come chi la rifiuta si collochi al di fuori di un cambiamento epocale e ineluttabile.
Questa visione ottimistica contrasta con un passato costellato di insuccessi e perdite, come il travagliato percorso del film “Dune” di David Lynch.
Un’opera complessa, oggi riproposta in una versione ridimensionata e ricostruita da Denis Villeneuve, testimonia le pressioni economiche che gravano sui cineasti, soprattutto nel contesto hollywoodiano, dove gli errori si traducono in perdite di capitale ingenti, cifre che si sono drammaticamente amplificate nel tempo.
L’attuale panorama cinematografico è ulteriormente ridefinito dalla presenza dominante di piattaforme di streaming come Netflix.
De Laurentiis, con una franchezza che ha sorpreso molti, non esita a dichiarare: “Netflix ha ucciso il cinema”.
Tuttavia, aggiunge subito una precisazione cruciale: “Ma l’ha fatto bene”.
La logica alla base del modello di business di Netflix è radicalmente diversa da quella tradizionale.
L’obiettivo primario non è il successo economico di un singolo film, ma l’aumento del numero di abbonati, un parametro che si riflette direttamente nel valore in Borsa dell’azienda.
L’aumento di un singolo punto percentuale negli abbonamenti, come dimostra la crescita recente da 7,5% a 8,5% durante i mesi estivi, ha un impatto significativo e immediato sulla capitalizzazione della società.
YouTube, pur mantenendo una quota di mercato più ampia (12%), mostra segni di stagnazione, evidenziando la capacità di Netflix di attrarre e fidelizzare un pubblico sempre più vasto.
Questo nuovo paradigma economico e distributivo sta rivoluzionando il concetto stesso di cinema, spingendo i produttori a confrontarsi con una realtà in cui la creazione artistica è sempre più subordinata a logiche di mercato globali e quantificabili.
Il successo o il fallimento di un film non si misurano più esclusivamente in base agli incassi al botteghino, ma in relazione al suo contributo all’espansione della base di abbonati e alla sua capacità di generare engagement.
Nonostante le trasformazioni profonde che stanno investendo l’industria, De Laurentiis ribadisce un’affermazione carica di passione: “Il cinema ci rappresenta, perché racconta le nostre vite”.
Questo amore per il cinema lo ha portato a investire nella creazione di una sala privata all’avanguardia nella sua residenza di Los Angeles, un luogo dove poter apprezzare appieno la qualità tecnica e artistica delle opere cinematografiche, un contrasto voluto con le sale cinematografiche moderne, spesso compromesse da soluzioni acustiche e tecnologiche insufficienti.
Per De Laurentiis, preservare l’esperienza cinematografica autentica, quella che trascende il mero intrattenimento, rimane un imperativo imprescindibile.
La sua dedizione testimonia una fede incrollabile nel potere del cinema come forma d’arte capace di connettere, emozionare e riflettere la condizione umana.