Dopo decenni di silenzio e di peregrinazioni clandestine, l’immagine sacra della Madonna del Rosario con Gesù Bambino e Santi, rubata nel 1978 alla chiesa Maria del Santissimo Rosario di Rende (Cosenza), ritrova finalmente la sua dimora originaria.
Un’opera di straordinaria valenza artistica e devozionale, universalmente riconosciuta come capolavoro del XVIII secolo e attribuita all’ingegno del maestro Francesco De Mura, è stata sottratta alla sua comunità e successivamente finita nelle mani di privati a Napoli, dove è stata pignorata dalla magistratura.
La vicenda, che si snoda attraverso l’ombra del furto e la complessità delle dinamiche del mercato dell’arte illecita, è stata risolta grazie all’impegno indefesso dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Napoli, un’unità specializzata nella lotta al traffico di beni culturali sottratti illegalmente.
L’inchiesta, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, ha sfruttato le potenzialità delle banche dati specialistiche, uno strumento di indagine sempre più cruciale nella lotta al saccheggio del patrimonio culturale italiano.
La Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti, un archivio digitale di portata mondiale e gestito con rigore dal Comando Carabinieri TPC, si configura come una risorsa inestimabile.
Con un database di oltre 1,3 milioni di file, questo strumento permette di correlare opere d’arte scomparse con le segnalazioni di opere in circolazione, svelando così le catene della sottrazione e dell’illecita circolazione.
La consultazione di questo archivio si è rivelata determinante per riconnettere il dipinto ritrovato a quella che era la sua provenienza, identificandolo con certezza come l’opera trafugata a Rende.
La restituzione, disposta dalla Procura, va ben oltre il semplice ripristino di un bene materiale.
Rappresenta un atto di giustizia nei confronti della comunità di Rende, che ha subito la perdita di un simbolo religioso e culturale.
L’opera, restituita all’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, non è solo un ritorno alla devozione popolare, ma anche un segnale di riappropriazione della memoria storica e dell’identità territoriale.
Permette di ridare respiro a un patrimonio che troppo a lungo è stato privato del suo contesto originale, restituendolo alla pubblica fruizione e alla contemplazione dei fedeli, un patrimonio che testimonia la ricchezza artistica e spirituale del territorio calabrese.
Il caso sottolinea, inoltre, l’importanza della collaborazione tra istituzioni, forze dell’ordine e comunità locali per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, un bene comune da proteggere e tramandare alle future generazioni.