Nel Mezzogiorno, la mancanza di iniziative per trattenere i talenti è un problema diffuso: solo un terzo delle imprese si impegna attivamente.

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08 gennaio 2024 – 12:13

Le imprese italiane lamentano la perdita di talenti, soprattutto nel Sud del Paese, ma non fanno abbastanza per trattenere le migliori risorse giovanili all’interno delle aziende. Questo è quanto emerge da un’indagine condotta di recente dal Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere e presentata a Catania. Secondo lo studio sulle medie imprese italiane, il capitale umano è considerato strategico dalle aziende del Mezzogiorno, tuttavia il 29%, quasi una su tre, non adotta ancora alcuna politica per trattenere i propri talenti in azienda. Tuttavia, quando decidono di agire, la leva salariale rimane lo strumento principale utilizzato dalle imprese per contrastare la “great resignation” (il fenomeno recente delle grandi dimissioni di massa). Inoltre, le medie imprese meridionali che investono nel capitale umano hanno maggior fiducia nell’aumento del fatturato entro il 2025 rispetto a quelle che non lo fanno. Secondo il rapporto del Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere: “Nel Mezzogiorno c’è una minore propensione ad adottare pratiche volte a trattenere i talenti in azienda: infatti, il 29% delle medie imprese meridionali non ha ancora adottato nessuna pratica contro il 15% delle imprese nelle altre aree del Paese”. L’incremento salariale rimane quindi lo strumento principale per trattenere i talenti in azienda (29%), seguito dai benefit aziendali (21%) e dal riconoscimento del lavoro svolto (17%). Tuttavia, l’utilizzo dello smart working (solo l’8%) o la flessibilità negli orari di lavoro (11%) sono pratiche poco diffuse. Secondo uno studio dell’Università di Pisa, la fuga dei talenti comporta una perdita del 1% del PIL e ha come cause principali la mancanza di gratificazione economica, la precarietà del lavoro, le scarse opportunità di crescita professionale e il mancato riconoscimento delle competenze individuali.

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