lunedì, 16 Giugno 2025
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Allarme in campo: la guerra soffoca il futuro dell’agricoltura.

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L’eco di un’ombra inquietante risuona nel presente, un presagio che evoca i cataclismi del ventesimo secolo: il sonno della ragione, un torpore pericoloso che rischia di travolgere intere popolazioni. L’affermazione, proferita dal segretario generale della Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, in apertura del Villaggio nazionale, un evento segnato dalla vibrante protesta dei Giovani Coldiretti, è un campanello d’allarme urgente.La retorica bellica, dilagante nei dibattiti pubblici, soffoca il messaggio profetico di Papa Francesco, che esorta disarmare le parole, sostituendole con la diplomazia e la comprensione reciproca. Accettare la guerra come un dato di fatto, una necessità ineluttabile, significa amputare l’arma più potente per scongiurare il conflitto: il dialogo costruttivo.Le tensioni internazionali, acuite dagli eventi recenti, come l’attacco di Israele all’Iran, mettono a nudo una frattura profonda. Mentre l’Europa, in un moto di apparente difesa, incrementa i propri investimenti militari, la voce della negoziazione si fa sempre più flebile, risucchiata nel vortice dell’escalation.Questo cortocircuito strategico, questa corsa agli armamenti, ignora le reali necessità che gravano su settori cruciali come l’agricoltura e la sicurezza alimentare. La storia recente, purtroppo, ci offre amara testimonianza: le guerre generano carestie, espropriano le comunità rurali, destabilizzano intere regioni. I contadini, coloro che coltivano la terra e nutrono il mondo, sono i primi a subire le conseguenze devastanti dei conflitti.Tuttavia, Gesmundo, con un’acuta percezione, sottolinea un aspetto fondamentale: la terra, fonte di sostentamento e di vita, può anche essere la culla di una nuova speranza. Il lavoro paziente, la cura meticolosa, la capacità di far germogliare la vita laddove sembrava sterile, sono qualità che si possono applicare anche alla risoluzione dei conflitti. La diplomazia, intesa non come una mera negoziazione politica, ma come un atto di cura e di ricostruzione, può attingere alla saggezza antica della terra. Riconnettere l’uomo con le sue radici, con il ritmo naturale delle stagioni, può risvegliare la ragione sopita e promuovere una cultura di pace fondata sulla cooperazione e sulla condivisione delle risorse. Il futuro, quindi, non può essere costruito sulle macerie della guerra, ma sulle fondamenta solide di una diplomazia resiliente e profondamente radicata nella realtà della vita quotidiana.

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