La vicenda Iscot, azienda fornitrice di servizi per Stellantis a San Nicola di Melfi, si configura come un quadro di degrado industriale e precarizzazione del lavoro, descritto dai sindacati (Filcams, Filcom e Uil Trasporti) come una “morte annunciata”. La protesta odierna a Potenza, dinanzi alla sede di Confindustria Basilicata, non è un evento isolato, ma l’epilogo di un percorso segnato da scelte aziendali discutibili e dalla fragilità di un indotto automobilistico in profonda crisi.Al centro della contestazione vi è la pratica, in atto, di trasferimenti forzati di personale con contratti a tempo parziale (25 ore settimanali) verso cantieri distanti anche 250 chilometri dalla regione lucana. Questa manovra, percepita dai lavoratori come un “licenziamento mascherato”, rivela una strategia aziendale volta a ridurre i costi a spese della dignità e della stabilità occupazionale. I trasferimenti non sono solo geografici, ma rappresentano una vera e propria dislocazione professionale, con ripercussioni economiche e sociali impensabili per i lavoratori, costretti a confrontarsi con oneri di trasporto e vitto insostenibili.L’amara ironia della situazione è acuita dal tentativo, risalente al 21 maggio scorso, da parte delle istituzioni regionali, attraverso l’assessore allo sviluppo economico Franco Cupparo, di mitigare la crisi proponendo progetti di formazione continua. Un’iniziativa rimasta inascoltata, un pallido tentativo di arginare una deriva inarrestabile. L’azienda, secondo i segretari sindacali, ha eretto una barriera invalicabile, rifiutando qualsiasi dialogo costruttivo.La crisi di Iscot non è un fenomeno emergente, ma l’aggravarsi di una situazione preesistente, come sottolinea Donato Rosa, il quale ricorda come, già tre anni fa, si fossero sollevate preoccupazioni in merito alla gestione dell’azienda, sperando in un’era di innovazione e prosperità sotto la guida di Tavares. Quelle speranze, come emerge dalla realtà attuale, si sono rivelate vane.Rocco Casaletto, con lucidità, evidenzia come l’indotto Stellantis sia profondamente segnato dalla crisi generalizzata del settore automobilistico, un problema che in Basilicata assume connotati ancora più drammatici. La dipendenza di un’intera area da un singolo polo produttivo rende la regione particolarmente vulnerabile alle fluttuazioni del mercato globale e alle scelte strategiche delle case automobilistiche.Gerardo Ligrani, con una prospettiva allarmante, dipinge uno scenario di progressivo depauperamento occupazionale. I trasferimenti forzati, secondo lui, sono solo il preludio a un processo di “licenziamenti indotti”, una spirale negativa in cui i lavoratori, messi in condizioni economicamente insostenibili, sono spinti a dimettersi, realizzando de facto l’obiettivo dell’azienda: ridurre il personale in modo apparentemente indolore. La retribuzione di 700 euro mensili, a fronte delle spese sostenute nei cantieri del centro-nord, rende la permanenza nel posto di lavoro inaccettabile, configurando una vera e propria trappola per i lavoratori. La vicenda Iscot, dunque, non è solo una questione economica, ma un campanello d’allarme sulla necessità di ripensare il modello di sviluppo industriale e di tutelare il diritto al lavoro dignitoso, soprattutto nelle aree economicamente più fragili.
Crisi Iscot: Lavoro in fuga e dignità a rischio nella Basilicata
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