Il tribunale di Milano ha accolto la drammatica testimonianza di Madalina Ghenea, attrice e modella di fama internazionale, in un processo che mette in luce la profondità e la persistenza del fenomeno dello stalking digitale. La donna, visibilmente provata, ha descritto nove anni di vessazioni, un’onda ininterrotta di messaggi offensivi e minacciosi, un assalto alla sua dignità e alla sua sicurezza personale, culminati in un processo penale nei confronti di un uomo di 45 anni accusato di atti persecutori.La testimonianza non si è limitata alla narrazione di insulti verbali. Ghenea ha dipinto un quadro angosciante, rivelando come l’ossessione digitale abbia permeato ogni aspetto della sua vita. Immagini cruente di bambini deceduti, indirizzate direttamente a lei, hanno rappresentato un punto di rottura, una discesa negli abissi del cyberbullismo più spietato. La paura, un ospite indesiderato, l’ha accompagnata per anni, limitando la sua libertà di movimento e compromettendo le sue relazioni interpersonali, creando un clima di sfiducia generalizzata. “Non mi fidavo di nessuno,” ha confessato con voce tremante, sottolineando il danno psicologico profondo causato dalla costante minaccia.La vicenda, che ha preso avvio formalmente nel 2021 con la denuncia dell’attrice, affonda le sue radici in un contesto più ampio, risalente al 2016, un periodo particolarmente delicato nella vita della modella, quando era incinta della figlia. Questo dettaglio rivela una escalation di violenza psicologica, che si estende alla sfera familiare e mette a rischio anche la prole. L’uso di account multipli, sia per messaggi privati che per commenti pubblici, ha reso l’identificazione del persecutore un’operazione complessa, ma non ha diminuito l’impatto devastante sulla vittima.La presenza in aula, al di là della ricerca di giustizia, assume una valenza simbolica. Ghenea ha espresso il desiderio di proteggere la figlia, esposta a un retaggio di sofferenza e paura, e di offrire un esempio di coraggio alla madre, anch’essa testimone della sua angoscia. “Sono qui ancora a piangere dopo nove anni,” ha dichiarato, un’ammissione dolorosa che mette in luce la difficoltà di superare un trauma di tale portata.Il caso Ghenea solleva interrogativi cruciali sulla responsabilità digitale, sulla necessità di rafforzare le leggi a tutela della privacy e dell’immagine online, e sull’importanza di promuovere una cultura del rispetto e della consapevolezza nell’utilizzo dei social media. È una denuncia contro la violenza occulta che si nasconde dietro lo schermo, una violenza che mira a distruggere l’identità e a privare la vittima della sua serenità. Il processo si configura, quindi, come un campanello d’allarme per l’intera società, invitando a riflettere sulle conseguenze devastanti del cyberstalking e sulla necessità di un impegno collettivo per contrastare questo fenomeno in crescita.
Madalina Ghenea, testimonianza shock: nove anni di cyberstalking
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