venerdì, 13 Giugno 2025
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Tragedia Belloli-Bertocchi: un campanello d’allarme per l’Italia.

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La tragica vicenda di Elena Belloli e Rubens Bertocchi, culminata in un atto disperato che ha spezzato due vite e sconvolto una comunità, solleva interrogativi profondi e urgenti sul nostro tempo. La commedia dell’omicidio-suicidio, consumata in un contesto di sospetti e presunte infedeltà, non è un evento isolato, ma il sintomo di una malattia sociale che affligge le relazioni umane, in particolare quelle tra uomo e donna. Le parole di don Primo Moioli, durante il rito funebre che ha visto i familiari scegliere un addio congiunto per la coppia – lui 54 anni, lei 52, genitori di due figli, uno quindicenne e l’altro ventunenne – risuonano come un campanello d’allarme.Il dramma non è semplicemente una questione di gelosia o di violenza privata, ma riflette una cultura profondamente intrisa di maschilismo, un sistema di valori distorto che ancora oggi, nel ventunesimo secolo, limita e soffoca il potenziale delle donne, relegandole a ruoli secondari o, peggio, offrendo loro una visibilità distorta, spesso basata su stereotipi e oggettivazione. La narrazione dominante, quella che permea i media, la letteratura, persino l’educazione, tende a sminuire la complessità e il contributo femminile alla storia, all’arte, alla scienza, alla filosofia.Don Moioli, con la saggezza di un pastore attento alla sua comunità, invita a una riflessione radicale, che non si limiti a condannare l’atto violento, ma che scavi nelle radici culturali che lo hanno reso possibile. È necessario, innanzitutto, un intervento legislativo che non si limiti a punire i reati, ma che promuova attivamente l’uguaglianza di genere, tutelando le donne da ogni forma di discriminazione e violenza. Ma la legge da sola non basta. Servono progetti educativi mirati, rivolti non solo alle nuove generazioni, ma anche agli adulti, per decostruire stereotipi dannosi e promuovere relazioni basate sul rispetto reciproco, sull’empatia e sulla parità.La ricostruzione della memoria collettiva, attraverso la riscoperta e la valorizzazione delle figure femminili che hanno contribuito in modo significativo al progresso dell’umanità, è un’altra dimensione cruciale di questo percorso di cambiamento. Troppo spesso, le donne che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia sono state dimenticate, ignorate o marginalizzate. Riportare alla luce queste figure, raccontare le loro storie, celebrare i loro successi, significa offrire un modello positivo alle ragazze e alle donne di oggi, ispirandole a realizzare il loro pieno potenziale, liberandole dalla gabbia dei pregiudizi e delle aspettative limitanti.Il dolore per la perdita di Elena e Rubens è immenso, ma può e deve trasformarsi in un’opportunità per costruire una società più giusta, più equa, più umana, dove ogni individuo, uomo o donna, possa vivere una vita piena e realizzata, libera dalla paura e dalla violenza. Non è sufficiente piangere le vittime; è necessario agire, con coraggio e determinazione, per prevenire che tragedie simili si ripetano. La sfida è complessa, ma la posta in gioco è troppo alta per rinunciare.

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