“Warfare – Tempo di guerra” si configura come un’esperienza cinematografica radicale, un’immersione cruda e senza filtri nel cuore pulsante di un conflitto armato. Non si tratta di un racconto celebrativo o retorico, ma di una testimonianza autentica, filtrata dalla voce di un protagonista diretto, un membro di un’unità di cecchini statunitensi impegnata nel 2006 in una delle zone più infuocate di Ramadi, in Iraq, epicentro di un’insurrezione orchestrata da Al Qaeda. L’anteprima al Festival di Taormina (71° edizione, 13 giugno) ha anticipato l’uscita nelle sale il 21 agosto, distribuito da I Wonder Pictures.Il film, scritto e diretto da Alex Garland e Ray Mendoza, segue le orme del successo di “Civil War”, ma con un approccio ancora più intimo e focalizzato. La narrazione si concentra su un’unità dei Navy Seal, corpi speciali della Marina americana, e si apre con una scena di forte impatto: i soldati, raggruppati attorno a un televisore, esplodono in un boato di esultanze che ricorda un evento sportivo di massa. L’apparente leggerezza, tuttavia, è un’illusione. Questa squadra, rifugiata nella dimora di una famiglia irachena, si trova ad affrontare una crescente minaccia, un nemico invisibile che trasforma l’isolato in un vero e proprio inferno terreno.La regia di Garland e Mendoza si distingue per un rigore documentaristico, un’etica della riproduzione fedele della realtà combattuta. Il processo creativo è stato caratterizzato da una meticolosa indagine, un’approfondita ricerca che ha visto i registi intervistare numerosi veterani, ricostruendo la vicenda come un’indagine forense della memoria. “Volevamo un film onesto, costruito solo su ciò che era stato ricordato da qualcuno,” ha dichiarato Mendoza in una recente intervista al ‘Guardian’, sottolineando come la memoria collettiva, frammentaria e personale, fosse il materiale di costruzione del film. Le testimonianze si sono rivelate come “paraurti”, elementi essenziali per comprendere la violenza e la fragilità dell’esperienza umana in condizioni estreme.Le riprese sono state irte di difficoltà emotive, una sfida non solo per gli attori ma anche per i registi. Mendoza, ricoprendo il ruolo di regista, ha trovato nel distacco professionale un tentativo di proteggersi dall’impatto diretto dei ricordi traumatici. Tuttavia, una specifica scena di soccorso a un soldato ferito ha innescato un’ondata di ricordi inattesi, una sorta di “risonanza” emotiva che lo ha sopraffatto. La scena, esasperata dalla luce, dal fumo e dall’intensità dell’atmosfera, ha causato un’interruzione delle riprese, costringendo Mendoza a confrontarsi con la potenza devastante della memoria personale, un momento catartico che ha cristallizzato la complessità etica e emotiva del progetto. “Warfare” non è semplicemente un film di guerra; è un atto di memoria, un tentativo di dare voce all’esperienza silenziata di chi ha combattuto e, soprattutto, di esplorare la profonda umanità che si cela dietro l’uniforme.
Warfare: Un’immersione cruda nel cuore della guerra.
Pubblicato il
