La vicenda del rapimento del diciassettenne Gaetano Nicosia a Vittoria, in provincia di Ragusa, si rivela un intricato nodo di dinamiche criminali e depistaggi investigativi, sollevando interrogativi profondi sulle reali motivazioni e sui possibili legami con organizzazioni mafiose.
L’inchiesta, condotta dal procuratore Francesco Curcio e dall’aggiunto Sebastiano Ardita, ha portato all’emissione di ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di Gianfranco Stracquadaini, 50 anni, Stefano La Rocca, 23 anni, e Giuseppe Cannizzo, 41 anni, accusati di sequestro di persona.
La ricostruzione iniziale, quella di un tentativo di estorsione con richiesta di un milione di euro, assume contorni sempre più inverosimili alla luce delle indagini.
La presunta impossibilità di contattare i familiari della vittima, causata dalla perdita del cellulare durante il sequestro, appare come un elemento incongruente rispetto alla meticolosa pianificazione che, a detta dell’accusa, animò l’azione criminale.
Il gip Luigi Barone, nella sua ordinanza, esprime forte perplessità sulla veridicità di questa versione, sottolineando come essa si discosti profondamente dalla complessità e dalla cura che contraddussero l’esecuzione del rapimento, suggerendo una motivazione più ampia rispetto alla mera richiesta di denaro.
Il gip Lombardo ipotizza, pur in assenza di prove certe al momento, che dinamiche successive al sequestro abbiano determinato una rapida liberazione dell’ostaggio, verosimilmente per intervento di soggetti ancora da identificare.
Questi individui potrebbero rivelare connessioni tra il rapimento e organizzazioni criminali mafiose operanti nel territorio di Vittoria, ampliando notevolmente l’orizzonte dell’indagine.
L’assenza di elementi investigativi chiari e definitivi, tuttavia, preclude al momento l’accertamento di un collegamento diretto con tali consorterie.
Un elemento particolarmente inquietante emerso dall’analisi delle 38 pagine dell’ordinanza riguarda il ruolo di un amico della vittima.
Quest’ultimo, presente al momento del sequestro, emerge come figura chiave nel meccanismo criminale, fungendo da “basista” e fornendo ai rapitori informazioni precise sulla posizione del diciassettenne in tempo reale.
Questo comportamento suggerisce una premeditazione accurata e una conoscenza approfondita degli spostamenti della vittima, consentendo al “commando” di agire con precisione chirurgica, intercettandolo nel luogo e nell’orario esatti.
La vicenda solleva interrogativi cruciali: chi erano gli artefici di questa informazione, quale il movente alla base del tradimento e quale il ruolo complessivo di questa figura nell’economia dell’intera operazione? L’indagine si concentra ora sull’identificazione di questi soggetti e sull’approfondimento delle loro relazioni con i sequestratori, con l’obiettivo di svelare la verità dietro il rapimento e di individuare eventuali connessioni con ambienti mafiosi.
La liberazione così repentina dell’ostaggio e il ruolo dell’amico traditore indicano un quadro ben più complesso di una semplice estorsione, suggerendo la necessità di una profonda revisione delle dinamiche criminali in atto nel territorio Ragusano.






