Il disagio palpabile che anima il sistema giudiziario italiano si manifesta nuovamente a Palermo, dove il personale precario ha interrotto le attività in adesione allo sciopero nazionale indetto dalla Funzione Pubblica CGIL.
La protesta, concretizzatasi in un significativo presidio dinanzi alla Prefettura, ha visto una delegazione sindacale accolta dal Vice Prefetto, segnando un tentativo di dialogo in un contesto di crescente incertezza.
L’adesione allo sciopero a Palermo si è rivelata di notevole portata, con percentuali di coinvolgimento che in alcune sezioni del tribunale hanno raggiunto la totalità del personale.
Un dato che riflette l’angoscia di un collettivo di lavoratori – dodicimila su tutto il territorio nazionale, seicento nel solo distretto palermitano – al cui futuro professionale incombe una scadenza imminente: il 30 giugno.
Questi operatori, in gran parte impiegati all’interno dell’Ufficio per il Processo (UPP), un organo cruciale per l’assistenza e la funzionalità dell’attività giudiziaria, hanno raggiunto la loro posizione lavorativa attraverso concorsi pubblici, l’ultimo dei quali si è svolto a giugno 2024, preceduto da un altro due anni prima.
L’attuale situazione li proietta in un limbo di incertezza, con la concreta possibilità di perdere il lavoro a breve distanza dall’aver superato prove selettive complesse.
La problematica si radica in una cronica carenza di risorse strutturali che affligge il sistema giudiziario.
La precedente Legge di Bilancio, pur prevedendo una qualche forma di finanziamento, è stata giudicata dal sindacato ampiamente insufficiente per garantire la stabilizzazione di tutti i dodicimila precari, il cui contributo è essenziale per affrontare l’enorme arretrato giudiziario e per rendere più efficienti i tempi dei procedimenti legali.
La stabilizzazione di questo personale non rappresenta solamente una questione di giustizia sociale nei confronti di lavoratori che hanno investito tempo ed energie nel servizio pubblico, ma è altresì un imperativo per la salute e l’efficienza del sistema giudiziario.
La perdita di competenze e di esperienza che deriverebbe dalla dispersione di queste figure professionali comprometterebbe ulteriormente la capacità del sistema di rispondere alle esigenze della collettività e di garantire un’amministrazione della giustizia rapida e imparziale.
La protesta di Palermo, pertanto, si configura come un campanello d’allarme, un appello urgente a un cambio di paradigma che metta al centro il valore del capitale umano all’interno del sistema giudiziario.