Il verdetto emesso dal Tribunale di Marsala rappresenta un capitolo significativo nell’inchiesta che ha visto coinvolto Alfonso Tumbarello, medico di Campobello di Mazara, e che si intreccia con la complessa storia della latitanza di Matteo Messina Denaro.
La condanna a quindici anni per concorso esterno in associazione mafiosa e falso non è solo una sanzione individuale, ma un monito per l’intera comunità siciliana e per le istituzioni.
L’aspetto cruciale del caso risiede nel ruolo di Tumbarello durante il periodo in cui Messina Denaro si sottrasse alla giustizia.
Il medico, esercitando la sua professione, fornì assistenza medica al boss, compromettendo l’impegno dello Stato nel perseguire la criminalità organizzata.
Questa complicità, pur non implicando un’adesione ideologica alla mafia, ha costituito un elemento essenziale per la sopravvivenza in clandestinità di uno dei capi storici di Cosa Nostra.
La sentenza sottolinea come il concorso esterno in associazione mafiosa non si limiti a una partecipazione attiva nelle attività illecite dell’organizzazione, ma comprenda anche azioni di supporto e favoreggiamento che ne consentano il funzionamento e la protezione dei suoi membri.
Il falso, contestato a Tumbarello, si inserisce in questo quadro, presumibilmente legato alla creazione di documentazione contraffatta per agevolare la latitanza.
L’azione del pm Gianluca de Leo, promotore dell’azione legale, ha contribuito a ricostruire un quadro complesso di rapporti e comportamenti che hanno reso possibile la fuga di Messina Denaro.
Il processo ha sollevato interrogativi sulla responsabilità individuale e collettiva di fronte alla mafia, mettendo in luce come anche professionisti, depositari di un giuramento deontologico, possano essere coinvolti in dinamiche di collusione e omertà.
La vicenda Tumbarello-Messina Denaro si colloca in un contesto più ampio di indagini che mirano a smantellare i meccanismi di protezione che consentono ai mafiosi di sfuggire alla giustizia.
La sentenza rappresenta un passo avanti nella lotta alla criminalità organizzata, non solo attraverso la punizione dei responsabili, ma anche attraverso la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e la promozione di una cultura della legalità.
L’eredità di questo processo è la necessità di un impegno costante e condiviso per contrastare la mafia e tutelare i valori democratici.
Il caso sottolinea l’importanza di vigilanza e controlli rigorosi, anche nel settore sanitario, per evitare che figure professionali possano essere strumentalizzate per favorire attività criminali.
Infine, il verdetto invita a una riflessione profonda sul ruolo della professione medica e sul dovere di agire nell’interesse della collettività, al di sopra di logiche di convenienza o paura.






