A Noto, in Sicilia, la terza edizione di ‘8 Albe’ si dispiega dal 31 luglio, un’esplorazione artistica promossa da Dimora delle Balze e curata dalla rinomata Lucia Pietroiusti, direttrice delle Serpentine Galleries di Londra.
Quest’anno, la rassegna si immerge in un tema evocativo e complesso: “Tramonti: cosmogonie e fini del mondo”, un invito a riflettere sulla natura ciclica dell’esistenza, la transitorietà delle forme e la relazione intrinseca tra nascita e dissoluzione.
Le venticinque opere, realizzate da sedici artisti internazionali di spicco, scandiscono un percorso articolato in quattro serate (31 luglio, 7 agosto, 21 agosto, 28 agosto), con titoli ripetuti – ‘How We Ended’, ‘How We Began’ – che suggeriscono una struttura a spirale, un incessante ricominciare che rimanda ai ritmi della natura e ai processi metabolici che trasformano costantemente il nostro pianeta.
Più che una semplice esposizione, ‘8 Albe’ si configura come un’indagine sul nostro presente, un paesaggio in rapido mutamento dove le certezze crollano e le narrazioni consolidate vengono messe in discussione.
Gli artisti – Alice Bucknell, Yin-Ju Chen, Marcus Coates, Kyriaki Goni, Camille Henrot, Karrabing Film Collective, Asim Khan, Ailton Krenak, Lina Lapelyté, Peter Nadin, Eva Papamargariti, Agnieszka Polska, Revital Cohen e Tuur Van Balen, Cauleen Smith, Aimée Toledano, Natsuko Uchino – attingono a linguaggi diversi, spesso intersecando arte visiva, performance, film e installazioni sonore, per sondare le profondità di un’era segnata da crisi ambientali, disuguaglianze sociali e un’eredità coloniale ancora profondamente radicata.
Le opere espongono i resti di civiltà scomparse, i vuoti lasciati dalle conoscenze soppresse, le cicatrici inferte da catastrofi naturali e conflitti umani.
Non si tratta di una mera rievocazione del passato, ma di una riflessione sulla fragilità della condizione umana e sulla necessità di ripensare il nostro rapporto con la natura.
L’attenzione si concentra sulla precarietà dei saperi, sulla perdita di memoria collettiva e sulla difficoltà di immaginare un futuro sostenibile.
Lucia Pietroiusti sottolinea come la rassegna miri a confrontarci con il silenzio di mondi cancellati, con le voci soffocate dal tempo e dal potere.
L’atto stesso di immaginare la fine del mondo, un evento che si colloca al di là della nostra capacità di comprensione, si rivela una sfida esistenziale.
Come possiamo conciliare la nostra esistenza quotidiana con la consapevolezza della transitorietà di ogni cosa? Come possiamo accettare il ruolo di testimoni di un’era segnata dalla distruzione e dalla speranza?’8 Albe’ non offre risposte semplici, ma stimola un dialogo aperto e critico, invitando il pubblico a interrogarsi sul proprio ruolo nel mondo e sulla responsabilità di costruire un futuro più equo e sostenibile.
La bellezza del paesaggio notiese, con i suoi albori che si stagliano sulla costa, amplifica l’effetto contemplativo dell’esperienza, invitando a una profonda riflessione sulla condizione umana e sul nostro posto nell’universo.
La rassegna si configura, quindi, come un rituale di passaggio, un momento di sospensione e di ascolto, necessario per orientarsi in un mondo in continuo cambiamento.