Nel mezzo del ventennio fascista, a Ponte San Giovanni, il Teatrodicolle celebra il suo mezzo secolo di attività con “Gli Ideali delle Donne (e i grilli per la testa)”, uno spettacolo che non è semplice rievocazione storica, ma un’esplorazione coraggiosa della resilienza femminile, un mosaico di voci soffocate e desideri inespresso.
La Compagnia Teatrale di Collestrada, guidata da Walter Toppetti, offre un’opera che trascende la mera rappresentazione per diventare una riflessione universale sulla condizione umana, interrogando il passato per illuminare le ombre del presente.
La scena si apre nel 1935, un anno chiave nell’Italia governata dal regime, dove due figure femminili, Gisella e Gabriella, vedove della Grande Guerra, lottano per la propria esistenza.
Non sono eroine in senso convenzionale, ma donne pragmatiche, animate da una forza d’animo rara, che hanno ereditato la responsabilità di un piccolo laboratorio di sartoria, un’oasi di indipendenza ricavata all’interno delle loro abitazioni.
Il loro lavoro, la creazione di abiti, diventa metafora della loro stessa capacità di tessere una vita autonoma in un tessuto sociale che le vorrebbe silenziose e sottomesse.
Accanto a loro, Palmina, la madre di Gisella, incarna il peso delle tradizioni e la saggezza popolare, custode di un sapere antico che si scontra con le ambizioni moderne delle figlie.
Otello, il giovane figlio di Gisella, rappresenta il futuro incerto, la speranza di un mondo diverso, dove le donne possano finalmente esprimere il proprio potenziale.
Walter Toppetti, autore, regista e direttore artistico, sottolinea come lo spettacolo si rivolga a un pubblico ampio, al di là delle differenze di genere, per stimolare una riflessione condivisa sulla storia italiana e sulle disuguaglianze che hanno plasmato la società.
Non si tratta solo di ricordare le privazioni del passato, ma di riconoscere come alcune dinamiche oppressive persistano, trasformandosi in nuove forme di violenza e discriminazione.
La cura nella ricostruzione scenica è impeccabile: costumi, musiche e scenografie evocano l’atmosfera del regime fascista con un realismo commovente.
Il tavolo da lavoro della sartoria, la macchina da cucire cigolante e la radio che trasmette le notizie ufficiali non sono semplici oggetti di scena, ma simboli potenti di una vita quotidiana segnata da compromessi e silenzi.
Il culmine emotivo dello spettacolo è rappresentato da un monologo finale che, con audace parallelismo, intreccia le ferite del passato con le cronache contemporanee, portando alla luce le persistenti ingiustizie e le sfide che le donne continuano ad affrontare.
Un grido di speranza che risuona attraverso il tempo, invitando il pubblico a non dimenticare, a interrogare il presente e a lottare per un futuro più equo e inclusivo.
Lo spettacolo, quindi, si configura come un atto di memoria collettiva e un invito all’azione, un’eco di voci che hanno lottato per la libertà e la dignità, e che continuano a ispirare le generazioni future.