L’eco della voce di San Francesco risuona ancora oggi, un monito e un’ispirazione, come ha saputo rimarcare Monsignor Domenico Sorrentino durante le celebrazioni dedicate al patrono d’Italia.
La sua figura, trascendente i confini geografici e temporali, catalizza un sentimento diffuso, una profonda riverenza che si manifesta nell’affluenza di pellegrini provenienti da ogni angolo della nazione, come testimoniato dall’offerta solenne dell’olio per la lampada che illumina la sua tomba.
La recente decisione del governo, frutto di un’inaspettata convergenza politica, che ristabilisce la festa civile di San Francesco, appare quasi miracolosa nel contesto di una realtà nazionale spesso segnata da divisioni e contrasti.
Questo gesto, lungi dall’essere una semplice formalità, si configura come un atto simbolico di riconciliazione e di ricerca di un’unità nazionale, un desiderio espresso con forza anche dalle voci che si levano nelle piazze, invocando la fine dei conflitti che insanguinano il mondo, da Gaza all’Ucraina, lasciando dietro di sé distruzione e sofferenza.
La tradizionale Marcia Perugia-Assisi, un pellegrinaggio vivente, si appresta a percorrere nuovamente il cammino della pace, portando davanti al Santo d’Assisi le ferite aperte del nostro tempo.
Francesco, costruttore di ponti e di dialogo, ci insegna che la pace non è un’astrazione, ma un impegno concreto, un percorso arduo che richiede una profonda trasformazione interiore.
La responsabilità della costruzione della pace grava inequivocabilmente sui governanti e sui parlamenti, chiamati a superare logiche di potere e interessi egoistici.
Tuttavia, il messaggio di Assisi sottolinea che la vera pace non può essere imposta dall’alto, ma deve germogliare dal basso, dalla rieducazione delle coscienze, dalla promozione di una cultura improntata al rispetto, alla solidarietà e alla non violenza.
È necessario un cambio di paradigma radicale, che relegi le armi a un ruolo marginale, non più fonte di ricchezza, ma oggetto di profondo disprezzo, un fardello da abbandonare per abbracciare un’economia di pace, orientata al benessere comune e alla cura del creato.
La costruzione della pace non si limita alla sfera internazionale, ma inizia nel cuore di ogni individuo, nelle relazioni familiari, nelle interazioni quotidiane.
Richiede un esercizio costante di empatia, di ascolto, di perdono.
In un mondo dilaniato dalla guerra, dalla povertà e dalle disuguaglianze, il messaggio di San Francesco risuona come un faro di speranza, un invito a riscoprire i valori fondamentali dell’umanità e a costruire un futuro di pace e di giustizia per tutti.
Dobbiamo onorare la sua eredità non con parole, ma con azioni, impegnandoci, ciascuno per la propria parte, a essere costruttori attivi di un mondo più giusto e pacifico.
La pace è possibile, sì, ma solo se diventa un dovere inderogabile per ogni uomo e ogni donna.