L’episodio umbro, la presunta “riconoscimento” della Palestina da parte della Regione, si configura come una rottura inequivocabile delle dinamiche istituzionali e procedurali che governano le relazioni internazionali.
Lungi dall’essere un gesto di solidarietà genuina, l’azione rivela una pericolosa confusione di ruoli e una sottile, ma insidiosa, forma di strumentalizzazione della questione palestinese.
La prerogativa di riconoscere o meno uno Stato è, per sua natura, di competenza esclusiva del Governo nazionale e dei suoi strumenti diplomatici.
Si tratta di un atto complesso, intriso di implicazioni politiche, giuridiche e di sicurezza, che non può essere delegato a entità sub-nazionali, per quanto autorevoli possano essere.
La Regione Umbria, esercitando una funzione che le è giuridicamente preclusa, non solo viola i principi fondamentali del diritto internazionale e dell’ordinamento repubblicano, ma apre un precedente preoccupante.
Se si legittima l’azione umbra, si spalanca la strada a rivendicazioni analoghe da parte di altre regioni, potenzialmente destabilizzanti.
Immaginare una regione che si arroghi il diritto di riconoscere l’indipendenza della Catalogna, del Galles o della Corsica, al di là degli accordi internazionali e delle decisioni governative, è un esercizio di previsione che mette a fuoco i rischi derivanti da una gestione sconsiderata delle dinamiche internazionali.
L’azione della Regione, in ultima analisi, appare come un tentativo di ottenere visibilità a basso costo, distogliendo l’attenzione dalle reali necessità dei cittadini umbri.
Mentre famiglie lottano contro l’aumento delle tasse, mentre i sistemi sanitari sono paralizzati dalle liste d’attesa e mentre l’economia vacilla, si preferisce un gesto simbolico, fine a se stesso, che non produce alcun beneficio concreto.
È imperativo distinguere tra la retorica vuota e l’azione responsabile.
Mentre la Regione Umbria si ostina in gesti propagandistici, il Governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, ha dimostrato un impegno tangibile a sostegno della popolazione palestinese, accogliendo bambini feriti negli ospedali italiani, un atto di umanità che trascende le dichiarazioni di intenti.
Questa è la differenza abissale tra chi agisce per alleviare la sofferenza e chi sfrutta la sofferenza per fini politici.
La vera responsabilità di chi ricopre una carica istituzionale risiede nella difesa del bene comune, nell’attuazione di politiche concrete a favore dei cittadini, nel rispetto delle regole che governano la convivenza civile e internazionale.
Abbandonare questi principi significa tradire la fiducia che ci è stata accordata e compromettere il futuro della nostra comunità.
La linea di demarcazione tra chi utilizza le istituzioni come megafono personale e chi le onora con dedizione e competenza è ormai chiarissima.
E la scelta a quale schieramento servire, è una questione di coscienza.