Il silenzio industriale si frange oggi con la voce di Rifondazione Comunista, che ha acceso un faro sulla responsabilità etica che grava sui lavoratori dell’ex Oto Melara, ora parte del colosso Leonardo, a La Spezia.
L’azione, consistita in un volantinaggio mirato, non si limita a una protesta, ma si configura come un appello urgente a una riflessione profonda, un grido di coscienza di fronte alla tragedia in corso a Gaza.
Mentre il mondo osserva, impotente o complice, con l’orrore di un genocidio che si consuma sotto i riflettori, l’Italia, attraverso le sue industrie belliche, alimenta direttamente il conflitto.
L’esportazione di armi e sistemi militari non è un atto neutro, ma un contributo materiale alla perpetrazione della violenza, una partecipazione indiretta a una carneficina che lacera l’umanità.
Il gesto di Rifondazione Comunista si colloca in un quadro storico più ampio, richiamando l’attacco subito dalla Global Sumud Flotilla, un’iniziativa di pace e solidarietà che ha tentato, con coraggio, di portare un messaggio di speranza e soccorso alla popolazione palestinese, intrappolata in un assedio spietato.
L’ostilità dimostrata contro questa missione testimonia la difficoltà, e la resistenza, che incontra ogni tentativo genuino di superare gli interessi geopolitici e commerciali.
Il volantino distribuito non si concentra solo sulla dimensione lavorativa, ma punta dritto al cuore della questione: la coscienza umana, l’imperativo morale, il futuro che si progetta per le nuove generazioni.
Si evoca un precedente significativo, un atto di coraggio e dignità compiuto nel 1977 dagli stessi operai dell’Oto Melara, che si opposero con determinazione all’invio di armamenti alla dittatura militare argentina, dimostrando come il lavoro possa e debba essere strumento di resistenza e di affermazione di valori superiori.
L’azione di oggi non è quindi un mero atto di protesta, ma un invito a riappropriarsi della propria dignità, a recuperare la responsabilità collettiva, a rifiutare la complicità in un sistema che privilegia il profitto sulla vita umana.
È un appello a riscoprire il potere del lavoro come strumento di cambiamento sociale, come atto politico e morale capace di fermare la produzione di morte e costruire un futuro di pace e giustizia.
Il silenzio, in questo contesto, non è neutralità, ma acquiescenza.
E l’azione, per quanto piccola, è un seme di speranza.