La recente vicenda che coinvolge l’avvocato Flavio Rossi Albertini, al termine di un incontro con il suo assistito, l’anarchico Alfredo Cospito, solleva interrogativi complessi sull’intersezione tra diritto, etica professionale e la delicata gestione del regime carcerario ad alta sicurezza. L’atto di stringere la mano e compiere un gesto di affetto – due baci sulle guance – apparentemente banale in un contesto esterno, assume connotati problematici all’interno di un istituto penitenziario, e in particolare in un reparto dedicato al regime speciale dell’articolo 41-bis.La segnalazione all’Ordine degli Avvocati, proveniente dal direttore del carcere di Sassari, non si limita a una mera constatazione di un comportamento anomalo. Essa riflette una profonda preoccupazione legata alla vulnerabilità e alla potenziale influenza che un gesto di questo tipo può avere sui detenuti, specialmente quelli considerati elementi di elevata pericolosità sociale. Il regime 41-bis, infatti, è concepito per isolare figure ritenute in grado di coordinare attività criminali dall’esterno, interrompendo i canali di comunicazione e limitando drasticamente i contatti.L’istanza di valutazione deontologica non è un attacco alla libertà di espressione o al diritto di difesa, ma una richiesta di chiarezza sui limiti e sulle responsabilità del professionista che opera in un ambiente così delicato. L’atto di un avvocato, in un contesto carcerario speciale, non può essere percepito come un gesto privato, ma assume una valenza pubblica, capace di influenzare le dinamiche interne al carcere e potenzialmente compromettere la sicurezza del personale penitenziario.La comunicazione del direttore evidenzia, inoltre, un riconoscimento implicito del notevole impegno e della professionalità del personale di Polizia Penitenziaria, che opera quotidianamente in condizioni di elevata tensione e con l’onere di garantire la sicurezza e l’ordine all’interno dell’istituto. Il gesto dell’avvocato, se interpretato come una sottovalutazione di queste sfide, rischia di minare l’efficacia delle misure di sicurezza e di creare un clima di incertezza e potenziale conflitto.La vicenda pone, quindi, un quesito fondamentale: quale sia il confine sottile tra la necessità di garantire un’assistenza legale adeguata e il dovere di preservare la sicurezza e l’ordine all’interno di un istituto penitenziario ad alta sicurezza. La risposta a questa domanda richiede una riflessione approfondita, che tenga conto non solo delle normative vigenti, ma anche delle dinamiche complesse che caratterizzano la vita carceraria e il ruolo del professionista che vi opera. L’atto di un avvocato, anche se motivato da intenzioni positive, deve essere calibrato con estrema cautela, tenendo sempre presente il contesto e le potenziali conseguenze sulle persone coinvolte.
Avvocato Rossi Albertini e Cospito: Scontro tra Diritto e Sicurezza Carceraria
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