La decisione del Tribunale di Roma, emessa in sede di udienza predibattimentale, ha segnato un punto fermo in una vicenda complessa che interseca il diritto di cronaca, la tutela della privacy e i diritti fondamentali del minore.
I giudici hanno disposto il non luogo a procedere nei confronti di Clizia Incorvaia, accusata di aver violato la normativa sulla protezione dei dati personali attraverso la pubblicazione online di immagini della figlia minore, senza il consenso espresso del padre, Francesco Sarcina.
La vicenda, originata da una denuncia presentata dall’artista, ha sollevato interrogativi cruciali sull’equilibrio tra la libertà di espressione, intesa come diritto a raccontare esperienze personali sui social media, e la necessità di salvaguardare la sfera privata e la vulnerabilità dei soggetti minorenni.
La Procura, con istanza di citazione diretta a giudizio, aveva inizialmente sostenuto la responsabilità dell’attrice.
Tuttavia, l’analisi condotta dal collegio giudicante ha portato a conclusioni diverse.
La decisione del Tribunale non costituisce una valutazione definitiva sulla veridicità delle accuse mosse, ma piuttosto un’indagine preliminare volta a stabilire se sussistano elementi sufficienti per giustificare un processo.
In questo caso, i giudici hanno ritenuto che la documentazione acquisita non fosse univoca e che mancassero prove inequivocabili di una violazione specifica della normativa vigente, in particolare del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) e del Codice Privacy italiano.
Un elemento chiave della decisione risiede nella ponderazione degli interessi in gioco.
La pubblicazione di immagini di minori online, anche se operata da un genitore, è una questione particolarmente delicata, poiché coinvolge un soggetto incapace di autodeterminazione e potenzialmente esposto a rischi di sfruttamento, cyberbullismo e violazioni della propria riservatezza.
Il diritto alla riservatezza del minore, sancito dall’articolo 3, comma 2, della Costituzione, deve essere tutelato con particolare attenzione, soprattutto in un’era digitale dove le immagini possono essere facilmente condivise, archiviate e riprodotte su scala globale.
Il non luogo a procedere non esclude la possibilità che la vicenda possa essere riaperta in futuro, qualora emergessero elementi nuovi e circostanziati che chiariscano la dinamica dei fatti e dimostrino una reale violazione dei diritti del minore.
La decisione evidenzia, inoltre, l’importanza di una maggiore consapevolezza da parte dei genitori sull’utilizzo dei social media e sulle conseguenze delle proprie azioni sulla privacy dei figli, invitando a un’attenta riflessione sull’equilibrio tra diritto di narrazione personale e responsabilità genitoriale.
La vicenda rappresenta un caso emblematico delle sfide poste dall’evoluzione tecnologica al diritto della privacy e alla protezione dei minori in un mondo sempre più connesso.






