Giovedì scorso, in una dinamica che solleva interrogativi profondi sulla sicurezza dei giornalisti e sulla libertà di informazione, Massimo Giletti è stato vittima di un’aggressione fisica in pieno giorno, in via del Corso a Roma.
L’aggressore, identificato come un ex agente dei servizi segreti con un passato militare che include la legione straniera e presumibilmente anche l’addestramento paracadutistico, ha inferto un pugno al conduttore televisivo mentre questi tentava di ottenere chiarimenti sul delicato caso Orlandi.
Le immagini di questo episodio, che durano circa tre minuti e mezzo, saranno diffuse questa sera nel corso del programma “Lo Stato delle Cose”, su Rai3.
L’aggressione, secondo quanto riferito da Giletti, è maturata durante un tentativo di approfondimento su una linea investigativa finora trascurata: il presunto coinvolgimento di Mario Meneguzzi, zio di Emanuela Orlandi, nel suo misterioso rapimento.
Giletti, nel tentativo di ottenere spiegazioni in merito a un avvertimento, presumibilmente emesso dai servizi segreti, riguardante la sorveglianza di Meneguzzi da parte della polizia, ha descritto un momento di perdita di controllo da parte dell’aggressore.
L’aggressione, pur non avendo causato gravi conseguenze fisiche al giornalista, ha comportato anche la distruzione del suo telefono cellulare durante un secondo, più violento, colpo che lo ha proiettato in mezzo alla strada.
L’episodio si inserisce in un contesto di crescenti tensioni che spesso intercorrono tra il mondo del giornalismo d’inchiesta e figure potenti, sia in ambito politico che nei servizi segreti.
Riferendosi a precedenti esperienze, Giletti ha espresso una certa rassegnazione, paragonando la sua reazione a quella di un “giornalista di strada”, consapevole dei rischi che comporta porre domande scomode.
Ricorda, a questo proposito, un episodio simile risalente agli anni ’92-’93, durante la sua esperienza con il programma “Mixer”, in cui fu aggredito da Umberto Bossi.
La decisione di non sporgere denuncia, come ammesso dal giornalista, riflette una profonda riflessione sulla natura del suo lavoro e sulle possibili conseguenze legali.
Una saggezza disillusa, quasi una consapevolezza amara, gli è stata sussurrata da un collega, che gli ha suggerito di “incassare”, come a voler suggerire che il prezzo della verità può essere spesso salato.
L’aggressione solleva dunque interrogativi cruciali sulla protezione dei giornalisti, sulla responsabilità delle istituzioni e sulla necessità di garantire un ambiente in cui l’informazione possa fluire libera e senza censure.






