venerdì 29 Agosto 2025
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Como-Milan in Australia: scontro tra calcio globale e identità locale

La proposta di portare a Perth, in Australia, l’incontro Como-Milan, previsto nel febbraio del prossimo anno, ha innescato una controversia di portata europea, proiettando al centro del dibattito questioni fondamentali riguardanti la governance del calcio, la sua globalizzazione e il rapporto tra le competizioni sportive e le comunità di riferimento.

L’iniziativa, sebbene apparentemente marginale nell’ambito della stagione calcistica italiana, solleva interrogativi più ampi sul futuro del modello sportivo europeo e sulla sua capacità di conciliare ambizioni di crescita internazionale con la tutela dei valori tradizionali.
La Federazione Italiana Gioco Calcio (Figc) aveva precedentemente manifestato una disponibilità di principio, subordinata, tuttavia, all’approvazione di un ecosistema di enti internazionali: la Federazione calcistica australiana, la UEFA, la Confederazione calcistica asiatica e la FIFA.

Il consenso di queste istituzioni, pur essendo necessario, non è sufficiente a sbloccare la vicenda.

L’opposizione, ferma e inequivocabile, proviene dall’Unione Europea, attraverso la voce del Commissario Ue allo sport, Glenn Micallef.

L’intervento di Micallef ha assunto toni veementi, denunciando l’idea di ospitare competizioni calcistiche europee al di fuori del continente come una forma di “tradimento” nei confronti dei tifosi.

Il Commissario ha sottolineato l’importanza del legame intrinseco tra i club calcistici e le loro comunità locali, evidenziando come il successo di una squadra dipenda in larga misura dal sostegno appassionato dei suoi tifosi e dalla sua capacità di incarnare l’identità e i valori del territorio.

L’idea di un’iniziativa come Como-Milan in Australia, e parallelamente, la proposta di disputare un match della Liga a Miami, emergono come esempi di una deriva che rischia di allontanare il calcio dalle sue radici.
La replica della Lega Serie A non si è fatta attendere, definendo le parole del Commissario “sconcertanti” e accusandolo di una sottovalutazione della complessità e del valore strategico delle iniziative volte a promuovere il calcio italiano a livello globale.

La Lega difende la necessità di ampliare l’esposizione del campionato italiano su scala internazionale, seguendo un modello già ampiamente adottato da altre leghe sportive di eccellenza, come la NBA e la NFL, che con successo esportano le proprie competizioni in Europa.
La Lega minimizza l’impatto potenziale di una singola partita, ribadendo che si tratta di una piccolissima percentuale rispetto al totale degli incontri stagionali.

Tuttavia, il cuore della questione va oltre la mera quantificazione: si tratta di un conflitto tra un’idea di calcio come bene culturale legato a un territorio e un’aspirazione a una sua commercializzazione e diffusione globale, a rischio di svuotamento di significato.

La vicenda solleva interrogativi cruciali: fino a che punto è lecito perseguire obiettivi di crescita economica a scapito dell’identità e delle tradizioni? Qual è il ruolo dello sport nella costruzione dell’identità culturale e collettiva? E, soprattutto, quale futuro vogliamo per il calcio europeo? Il dibattito è destinato a continuare, e la decisione finale avrà ripercussioni significative sul modello sportivo europeo e sulla sua capacità di evolversi senza perdere la sua anima.

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