Un appello alla città: riconoscere le vite, costruire pontiUna missiva aperta, indirizzata alla cittadinanza torinese e ai media locali, è stata diffusa dalla Fraternità del Sermig, attraverso la voce di don Andrea Bisacchi, don Marco Vitale e don Alessandro Rossi, sacerdoti attivi nei quartieri Barriera di Milano e Porta Palazzo.
L’iniziativa nasce come risposta urgente alla crescente ondata di violenza che sta insanguinando la città, alimentando un clima di paura e, troppo spesso, di giudizio sommario.
I presbiteri, impegnati quotidianamente nel tessuto sociale di queste aree, non intendono negare la gravità della situazione, anzi.
L’obiettivo primario è sollecitare una riflessione più profonda e costruttiva, un cambio di prospettiva che vada oltre la narrazione dominante, focalizzata unicamente sulla criminalità e sulla sicurezza percepita.
“Non vogliamo banalizzare il dolore né minimizzare le difficoltà,” scrivono, “ma vogliamo invitare la città a guardare oltre la superficie, a riconoscere la complessità umana che si cela dietro le statistiche e i titoli dei giornali.
“La lettera fa riferimento a due tragici eventi, due vite spezzate per mano violenta, che hanno lasciato un vuoto incolmabile e hanno acuito il senso di insicurezza tra i residenti.
L’esperienza dei sacerdoti ha rivelato una verità sconcertante: queste vittime, queste storie, sono spesso ‘invisibili’ agli occhi della collettività.
Il loro destino viene liquidato con frasi come “se la sono cercata” o “è un problema loro”, alimentando un senso di distacco e di irresponsabilità.
Le veglie di preghiera, organizzate a seguito di questi lutti, hanno rappresentato un’inaspettata ventata di speranza.
La partecipazione massiccia e diversificata di cittadini, altrimenti estranei, ha dimostrato un desiderio profondo di solidarietà e di compassione.
Questi momenti di raccoglimento hanno permesso di rendere visibili le vite nascoste, di spezzare il muro dell’indifferenza e di testimoniare la potenza di un gesto di bene condiviso.
I sacerdoti sottolineano l’importanza di una Chiesa in uscita, capace di superare le barriere ideologiche e sociali, un luogo di accoglienza e di dialogo per tutti, indipendentemente dalle proprie origini o dal proprio percorso di vita.
Una Chiesa che non giudica, ma ascolta; che non condanna, ma accompagna.
La lettera si conclude con un appello alla città: non limitarsi a stigmatizzare i problemi, ma impegnarsi attivamente nella loro risoluzione.
Barriera e Aurora non sono definibili unicamente attraverso le lenti della marginalità e della criminalità.
Sono quartieri complessi, ricchi di umanità, di storie inaspettate e di potenzialità inespresse.
È necessario un cambio di paradigma, una nuova narrazione che metta al centro la dignità di ogni persona e che promuova la costruzione di una comunità più giusta, inclusiva e solidale.
Un impegno che richiede la collaborazione di istituzioni, associazioni, cittadini e, soprattutto, la volontà di guardare, realmente, chi ci sta accanto.