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A22, tragedia a Mattarello: sentenza e interrogativi sulla sicurezza.

Il tragico evento sulla A22, all’altezza di Mattarello, il 27 ottobre 2017, ha scatenato un complesso intreccio di responsabilità legali e riflessioni profonde sulla sicurezza stradale, la prevedibilità umana e i limiti della tecnologia applicata alla guida.

La sentenza, pronunciata a marzo e che ha condannato a due anni di reclusione con sospensione condizionale il camionista modenese Alberto Marchetti e la torinese Monica Lorenzatti, riassume una dinamica di collisione segnata da una frenata improvvisa e apparentemente ingiustificata, e da una reazione, seppur potenzialmente adeguata in termini di spazio a disposizione, che però si è rivelata fatale.

La ricostruzione dei fatti evidenzia come il camionista, viaggiando a 90 chilometri orari, abbia decelerato bruscamente fino a soli 7 chilometri orari in un lasso di tempo di cinque secondi.
Questa manovra, non supportata da alcuna necessità apparente, ha innescato una catena di eventi che ha portato al tamponamento dell’auto guidata da Monica Lorenzatti.

Il giudice Massimo Rigon, nella sua decisione, ha sottolineato che la conducente dell’auto, teoricamente, avrebbe avuto la possibilità di percepire il rallentamento imprevisto e di reagire adeguatamente.
La distanza di sicurezza disponibile, stimata in almeno 70 metri, avrebbe consentito, in condizioni ideali, di arrestare il veicolo in sicurezza o, quantomeno, di ridurre la velocità in modo significativo.
Tuttavia, l’inaspettatezza della frenata e la velocità di reazione umana hanno compromesso la possibilità di evitare l’impatto.

La tragedia si è concretizzata nella perdita di due giovani vite: Gioia Virginia Casciani, 9 anni, figlia di Monica Lorenzatti, e Ginevra Barra Bajetto, 17 anni, cugina di Gioia.

La loro morte, già devastante, è stata poi ulteriormente aggravata dalla scomparsa, venti mesi dopo, della sorella di Monica e madre di Ginevra, Graziella Lorenzatti, probabilmente a causa dello shock emotivo e del lutto insopportabile.

Un elemento critico, che ha contribuito all’esito fatale, è rappresentato dalla mancata applicazione delle cinture di sicurezza da parte delle vittime.
Questa omissione, seppur non escludendo la responsabilità dei conducenti, ha indubbiamente reso le conseguenze dell’impatto ancora più gravi.

La difesa di Monica Lorenzatti, rappresentata dagli avvocati Claudio Tasin, Karol Pescosta e Marco Rossi, ha contestato la ricostruzione dei fatti presentata dall’accusa, annunciando il ricorso in appello.
Anche l’avvocato di Rigon, Giulio Garuti, ha preannunciato un ricorso, segnalando la complessità della vicenda e le possibili interpretazioni divergenti delle prove raccolte.

L’episodio solleva questioni cruciali sulla responsabilità individuale in ambito stradale, l’importanza di una guida prevedibile e prudente, e la necessità di una maggiore attenzione alle condizioni psicologiche e emotive dei conducenti, elementi spesso trascurati nelle analisi tecniche degli incidenti.

Inoltre, evidenzia come la sicurezza passiva, pur essendo fondamentale, non possa sostituire la vigilanza e la prudenza del conducente.

La vicenda rappresenta, dunque, un monito per tutti, un invito a riflettere sui limiti umani e sulla fragilità della vita, anche all’interno di un contesto apparentemente sicuro come quello di un’autostrada.

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