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lunedì 27 Ottobre 2025

CPR: Un investimento a rischio per l’accoglienza?

La recente decisione di istituire un Centro di Prima Accoglienza (CPR) da 25 posti, con un investimento provinciale di quasi due milioni di euro, solleva profonde perplessità, non tanto per l’investimento in sé, quanto per la sua presunta capacità di affrontare il fenomeno della marginalità e del disagio sociale.
La nostra esperienza sul campo, maturata attraverso anni di impegno diretto nell’accoglienza e nel sostegno a persone vulnerabili, ci induce a ritenere che questa soluzione, seppur apparentemente strutturata, rischia di esacerbare le problematiche esistenti, anziché mitigarle.

La logica sottostante sembra orientata a contenere i flussi, a ridurre il numero di persone formalmente accolte, ma ciò non implica una diminuzione della presenza di persone in stato di bisogno sul territorio.

Al contrario, prevediamo un incremento del numero di individui non supportati, privi di prospettive concrete, esposti a condizioni di estrema precarietà e vulnerabilità, con conseguenze negative per la sicurezza collettiva e per la stessa comunità accogliente.

L’esperienza del Punto d’incontro di Trento, realtà fortemente impegnata nell’assistenza a migranti e persone fragili, testimonia un aumento costante dei bisogni espressi, un flusso ininterrotto di richieste che gravano sui servizi territoriali, sia quelli di prossimità – le cosiddette “strutture di bassa soglia” – sia quelli specialistici e sociali.
L’introduzione di un CPR, in questo contesto, rischia di amplificare questa pressione, intensificando la percezione di insicurezza e, paradossalmente, rendendo più difficile l’erogazione di un’assistenza efficace.

Comprendiamo la responsabilità politica e il potere decisionale delle istituzioni, ma siamo convinti che le scelte formali non possano intaccare la nostra coscienza, la nostra umanità.

La politica può decidere di limitare i percorsi di accoglienza, ma non può imporre una trasformazione nel tessuto sociale, nella nostra capacità di sentirci comunità.
L’accoglienza non è una questione di protocolli o di numeri, ma di valori, di empatia, di impegno civico.

La situazione attuale, caratterizzata da un aumento esponenziale delle presenze al Punto d’incontro, evidenzia una criticità profonda: un numero crescente di richiedenti asilo non accede ai percorsi di accoglienza formali, rimanendo esposto alle intemperie, in una condizione di limbo che può protrarsi per anni.

Cosa vivono queste persone in questi anni? A chi si affidano per sopravvivere, per trovare un riparo, un sorriso, una parola di conforto? Chi interviene per proteggere il giovane di ventitré anni che desidera ardentemente imparare la lingua, trovare un lavoro, costruirsi un futuro? Chi risponde alla loro richiesta di aiuto, alla loro disperata ricerca di un’ancora di speranza?La sfida non è quella di costruire muri o di limitare l’accesso ai servizi, ma di creare opportunità, di favorire l’integrazione, di promuovere la dignità umana.

È necessario un approccio sistemico, che coinvolga istituzioni, associazioni, volontari, e che metta al centro le persone, con le loro storie, i loro bisogni, le loro aspirazioni.
Solo così potremo costruire una comunità più giusta, più sicura, più umana.

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