domenica 10 Agosto 2025
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Libellule alpine: gli stagni artificiali non bastano in quota.

L’impatto dell’altitudine sul destino delle comunità di libellule, indicatori sensibili della salute degli ecosistemi alpini, rivela una dinamica complessa che mette in discussione l’efficacia di strategie di mitigazione basate sulla creazione di stagni artificiali.
Uno studio approfondito condotto in Alto Adige, frutto della collaborazione tra ricercatori di Eurac Research e istituzioni accademiche di Vienna, Würzburg e Marburg, ha evidenziato come, al di sopra dei 1600 metri, questi ambienti artificiali non solo non compensino la perdita di habitat naturali, ma ne alterino radicalmente la composizione biologica.
La ricerca, pubblicata su *Global Ecology and Conservation*, ha analizzato 28 corpi idrici naturali e 13 artificiali, distribuiti in un intervallo altitudinale compreso tra 215 e 2450 metri, integrando i dati provenienti dal Monitoraggio della Biodiversità Alto Adige.
I risultati hanno dimostrato che l’aumento dell’altitudine genera una progressiva specializzazione delle comunità di libellule negli ambienti naturali, con la predominanza di specie alpine altamente adattate alle condizioni specifiche di tali ecosistemi.
In contrasto, gli stagni artificiali ad alta quota ospitano una fauna di libellule tipica di altitudini inferiori, caratterizzata da specie generaliste, capaci di tollerare un’ampia gamma di condizioni ambientali.
Questo fenomeno cruciale implica che le libellule alpine, insetti ectotermi la cui sopravvivenza è strettamente legata alla temperatura e alla qualità dell’habitat acquatico, non riescano a sfruttare gli stagni artificiali come alternative valide ai loro ambienti naturali.
L’assenza quasi totale di specie alpine negli stagni artificiali situati al di sopra dei 1600 metri suggerisce che questi ultimi non offrono le risorse e le caratteristiche strutturali necessarie per sostenere la loro vita, evidenziando una discrepanza tra le aspettative di ricreazione di habitat e la realtà biologica.
La ricerca solleva interrogativi fondamentali sull’applicazione di pratiche di ingegneria ecologica, soprattutto in contesti montani fragili.

L’idea che tali interventi possano efficacemente sostituire habitat naturali in declino, a causa dei cambiamenti climatici o di antropizzazione, si rivela, almeno per quanto riguarda le comunità di libellule alpine, una semplificazione eccessiva.
Un approccio più mirato e strategico dovrebbe concentrarsi sulla protezione e il ripristino degli habitat naturali alpini d’acqua dolce, comprendendo paludi, torbiere e stagni originari, ecosistemi complessi che forniscono un supporto vitale a una varietà di specie specializzate e contribuiscono alla resilienza dell’intero ambiente montano.

La comprensione delle specifiche esigenze ecologiche delle specie alpine e l’adozione di misure conservative mirate si rivelano quindi essenziali per garantire la conservazione della biodiversità alpina in un contesto di cambiamento globale.

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