Il linguaggio, più che un semplice strumento di comunicazione, si configura come l’architrave su cui si erige l’identità collettiva e individuale.
Vera Gheno, stimata sociolinguista, lo ha magistralmente illustrato durante l’incontro ‘A tu per tu’ al Fake News Festival, guidato dalla giornalista Giulia Zoratto, offrendo una riflessione complessa e profondamente attuale.
L’argomentazione di Gheno si è snodata attorno a due nuclei tematici cruciali: l’evoluzione del linguaggio di genere e la proliferazione delle disinformazioni nell’era digitale.
La sua esperienza personale, segnata da un’ondata di critiche e insulti online per una sua posizione sulla questione palestinese, ha messo in luce la precarietà della reputazione nell’era dei social media e la facilità con cui si possano costruire narrazioni distorte e dannose.
L’accusa di “sionismo”, formulata in maniera gratuita e infondata, è divenuta simbolo di un clima di polarizzazione e di una volontà di delegittimazione ad personam.
Approfondendo il tema del linguaggio inclusivo, Gheno ha respinto l’idea di un’eliminazione di termini, preferendo invece sottolineare l’importanza di un uso consapevole e rispettoso.
Il femminino professionale, lungi dall’essere un mero “ornamento” stilistico, emerge come un atto di riconoscimento e di valorizzazione del ruolo femminile nella società.
La resistenza al riconoscimento delle professioni femminili, come “ministra”, “sindaca” o “assessora”, mentre non vi è la stessa reticenza per termini come “cassiera”, “infermiera” o “maestra”, rivela l’ancoraggio a strutture patriarcali che continuano a svalutare il contributo femminile, perpetuando una gerarchia di genere profondamente radicata.
Questa resistenza non è casuale, ma è figlia di una cultura che associa il maschile a prestigio e potere, relegando il femminile a posizioni di secondaria importanza.
L’evoluzione linguistica, spesso percepita con sospetto e timore, è in realtà un riflesso dei cambiamenti sociali.
Ogni neologismo, ogni innovazione lessicale, genera inevitabilmente un certo allarme, ma la lingua è un organismo vivente, in continua trasformazione, che si adatta alle mutate esigenze comunicative.
Il femminismo, erroneamente caricato di connotazioni negative, non si pone come obiettivo la sovversione radicale dell’ordine costituito, bensì come motore di un cambiamento culturale che mira a promuovere una visione più equa e inclusiva della società.
Questo cambiamento beneficia tutti, uomini compresi, liberandoli dalle costrizioni di un modello di mascolinità rigida e repressiva, che li costringe a reprimere le proprie fragilità e a nascondere le proprie emozioni.
Il vero progresso consiste nel costruire una società dove la diversità sia celebrata e dove ogni individuo possa esprimere la propria identità liberamente, senza timore di giudizi o discriminazioni.
La lingua, in questo contesto, diventa uno strumento potente per abbattere le barriere e costruire ponti verso un futuro più giusto e sostenibile.







