Il caso di Denny Mendez nel 1996, quando la sua vittoria a Miss Italia sollevò un’ondata di polemiche, si ripresenta con insistenza, tessendo un filo di discussione che attraversa il tempo e le generazioni.
La recente incoronazione di Vittoria, Miss Trieste, e di Estefani Yan, Miss Grand Prix 2025, ha riacceso il dibattito, alimentato sui social media, attorno a un concetto labile e sempre più controverso: cosa significa “essere italiani”?Vittoria, una giovane dai mille colori, nata a Verona e residente a Muggia, si trova al centro di un’aspettativa che trascende la semplice bellezza esteriore.
La sua cittadinanza italiana, la sua integrazione nella comunità triestina, e l’eredità di due culture – quella italiana della madre e quella senegalese del padre – non sembrano bastare a placare le reazioni di chi, al di là di ogni logica, si aggrappa a una visione ristretta e stereotipata dell’italianità.
Stessa sorte è capitata a Estefani Yan, ex atleta dominicana giunta a Carpi per sostenere la sorella.
La sua vittoria, accolta con commenti denigratori che rimandano a un’ossessiva ricerca di canoni estetici “autentici”, ne evidenzia la fragilità di un immaginario collettivo incapace di abbracciare la ricchezza e la complessità dell’identità contemporanea.
“Non ho mai detto di rappresentare la bellezza italiana, né carpigiana,” dichiara amareggiata la vincitrice, sintomo di una crescente consapevolezza di come i concorsi di bellezza, paradossalmente, possano diventare terreno fertile per espressioni di intolleranza.
La polemica, che si ripresenta con modalità simili in diverse regioni, rivela una profonda difficoltà ad accettare la multiculturalità come parte integrante del tessuto sociale italiano.
Il richiamo a una presunta “triestinità tradita” o a una “mancanza di lineamenti carpigiani” non fa che amplificare le contraddizioni di una società che si professa accogliente, ma che fatica a superare pregiudizi radicati.
È significativo che la stessa Miss Trieste, un concorso nato con l’intento di promuovere l’inclusione e la lotta contro la violenza sulle donne, si trovi a dover fronteggiare queste reazioni discriminatorie.
Trieste, città storicamente crocevia di popoli e culture, dove l’ironia spinge a definire “triestino” chiunque provenga da Slovenia, Ungheria, Balcani o Sud Italia, si trova, in questo contesto, a dover difendere i propri valori di apertura e tolleranza.
Le parole di Vittoria, “So di aver vinto per la mia bellezza e sono consapevole del fatto che la bellezza non dipende dal colore della pelle,” e quelle di Estefani, che esprimono sgomento e sofferenza, sono un grido di speranza e un monito per una società che deve imparare a superare le proprie paure e a celebrare la diversità come fonte di arricchimento.
La resilienza di queste giovani donne, che scelgono di non abbassare lo sguardo e di continuare a perseguire i propri sogni, rappresenta un esempio di forza e di coraggio per tutti coloro che credono in un futuro più inclusivo e rispettoso.
La madre di Vittoria, offrendole il suo supporto, incarna il ruolo genitoriale di guida e protezione, ricordando che la sua identità è un tesoro da custodire, al di là di qualsiasi giudizio superficiale.
Il resto, come dice Vittoria, non conta.