Nel cuore di Gorizia, città storicamente intrisa di ideali di pace e dialogo, si è levata una voce di dissenso durante il Festival del Cambiamento, un evento che ambiva a raccogliere prospettive dalla politica, dall’economia e dal giornalismo.
Un presidio, animato da un sentimento di profonda indignazione, ha interrotto il flusso delle discussioni, trasformando lo spazio pubblico in un palcoscenico di protesta.
L’azione, promossa con un manifesto programmatico, non si è limitata a una semplice manifestazione di supporto alla Palestina, ma ha mirato a denunciare un sistema economico e politico percepito come intrinsecamente legato a conflitti armati e sofferenze umane.
La formula “cacciamo via chi lucra sul genocidio” incarna una critica radicale, puntando il dito contro chi trae profitto dalla devastazione e dalla violenza.
La presenza, stimata in circa sessanta persone secondo le autorità, si è fatta sentire attraverso bandiere palestinesi, cartelli e slogan che riflettevano una ferma opposizione alla guerra e alla complicità con i responsabili.
Nomi di aziende come Leonardo e Fincantieri sono stati esplicitamente richiamati, evidenziando la percezione di un legame diretto tra attività commerciali e produzione di armamenti.
“Palestina libera” è risuonato come un grido di speranza e un’affermazione di principio, accompagnato da interventi al microfono che hanno acceso il dibattito e amplificato le ragioni della protesta.
Il messaggio è chiaro: il governo è accusato di macchiarsi di sangue per proteggere gli interessi di pochi, e i manifestanti si dichiarano determinati a non essere complici, rivendicando una posizione morale e storica.
La richiesta di annullare l’imminente partita di calcio in programma a Udine, espressa attraverso lo striscione “No Italia vs Israele – Show Israel the red card”, rappresenta un atto simbolico volto a isolare lo Stato di Israele e a contestarne le politiche.
Questa azione, benché apparentemente marginale, si inserisce in una più ampia strategia di boicottaggio culturale ed economico, volta a esercitare pressione sullo Stato israeliano e a promuovere la giustizia e la pace nella regione.
Il presidio, dunque, non si configura solo come una manifestazione di protesta, ma come un atto di resistenza e un appello a un cambiamento radicale del sistema globale, dove la ricerca del profitto non debba prevalere sulla dignità umana e sulla giustizia sociale.
La città di Gorizia, custode di una storia di riconciliazione, si è così trovata ad essere teatro di una nuova, urgente chiamata alla responsabilità e alla compassione.