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lunedì 17 Novembre 2025

Premio giornalismo, scoppia la polemica: indignazione nella comunità ebraica.

La decisione della Fondazione Luchetta di conferire il prestigioso Premio Internazionale di Giornalismo a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati, ha innescato un’ondata di sconcerto e profonda indignazione all’interno della comunità ebraica di Trieste e Friuli Venezia Giulia.

Alessandro Salonichio, presidente della comunità, e il rabbino capo Eliahu Alexander Meloni, hanno espresso apertamente la loro preoccupazione, denunciando come la scelta della Fondazione si ponga in aperta contraddizione con i valori di equità, giustizia e rispetto per le vittime del terrorismo.

Le accuse mosse non si limitano a una critica alla selezione del destinatario del premio, ma mirano a evidenziare una pericolosa deriva ideologica che, a loro avviso, permea l’operato della Fondazione Luchetta.
Albanese è infatti accusata di diffondere narrazioni distorte, alimentando l’odio e, soprattutto, fornendo una piattaforma di difesa per i responsabili del pogrom del 7 ottobre, un evento che ha segnato una delle pagine più sanguinose del conflitto israelo-palestinese.

La comunità ebraica contesta con forza l’affermazione, veicolata da Albanese, che attribuisca la responsabilità delle vittime civili di Gaza agli israeliani, percependo questa posizione come una gravissima ingiustizia verso le famiglie distrutte e un’offesa alla memoria delle vittime.
La risposta della presidente della Fondazione Luchetta, Daniela Luchetta, pur negando qualsiasi intento razzista o di sostegno al terrorismo, non è riuscita a placare le polemiche.
La Luchetta ha sottolineato l’impegno della Fondazione nella difesa dei diritti umani e nella protezione delle persone vulnerabili, ribadendo la distanza da qualsiasi forma di violenza e prevaricazione.

Ha inoltre enfatizzato il ruolo di Albanese come voce critica nei confronti delle violazioni perpetrate nei territori palestinesi occupati, sostenendo che il premio riconosce il coraggio di denunciare le ingiustizie subite dalla popolazione civile.
La questione solleva interrogativi profondi sulla complessità della missione giornalistica in zone di conflitto e sulla responsabilità morale di chi si occupa di informazione.

L’assegnazione del premio, lungi dall’essere un atto di promozione del dialogo e della comprensione, appare come un elemento di divisione, che rischia di esacerbare le tensioni già esistenti e di compromettere la credibilità della Fondazione Luchetta stessa.
La vicenda ha suscitato l’intervento di esponenti politici, come Emanuele Loperfido di Fratelli d’Italia, che ha giudicato la scelta “inopportuna” e lesiva della memoria dei giornalisti caduti in servizio, e Elena Danielis del Movimento 5 Stelle, che invece ha difeso il premio come espressione di un impegno a favore della tutela dei civili, universalmente riconosciuta.

Il dibattito aperto da questa decisione evidenzia la necessità di un’analisi lucida e imparziale dei conflitti internazionali, evitando semplificazioni e narrazioni unilaterali.

La difesa dei diritti umani deve essere perseguita con coerenza e rigore, senza compromettere i principi fondamentali di giustizia e rispetto per la dignità umana, riconoscendo la sofferenza e le vittime di ogni parte coinvolta, e promuovendo un dialogo costruttivo volto alla ricerca di soluzioni pacifiche e durature.

La memoria dei caduti, giornalisti compresi, deve rimanere un faro per guidare ogni azione, garantendo che la ricerca della verità e la difesa dei diritti non si trasformino in strumenti di divisione e odio.

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