domenica 3 Agosto 2025
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Artiom, l’adottato risponde alla chiamata dell’Ucraina: un viaggio tra identità e radici.

Artiom Naliato, cresciuto in una famiglia padovana che lo aveva accolto in tenera età, incarnava una dicotomia esistenziale profonda.
La sua identità, plasmata dalla cultura italiana e legata al calore di una nuova dimora, si era improvvisamente incrociata con un richiamo ancestrali, un eco di terra natia che risuonava con forza in seguito all’invasione russa.

L’aggressione, più che un evento geopolitico, si era materializzata come un grido di dolore, un appello insopprimibile che travolse la sua coscienza.
La decisione di partire per l’Ucraina non fu impulsiva, ma il risultato di un processo interiore complesso, un conflitto tra il senso di appartenenza acquisito e la lealtà verso un popolo che lo rivendicava.

La sua adozione, pur essendo un atto di amore e generosità, non aveva cancellato le radici, l’eredità culturale, la storia impressa nel suo DNA.

L’Ucraina, lungi dall’essere una terra sconosciuta, si era rivelata un’eco nel suo cuore, una risonanza emotiva che si manifestava in un sentimento di responsabilità e un desiderio di difesa.

La scelta di diventare volontario non fu motivata da un’ideologia politica definita, ma da un impulso primordiale, un bisogno di agire di fronte alla sofferenza altrui.

Si trattava di un atto di solidarietà umana, di un tentativo di riaffermare la propria identità di fronte alla brutalità della guerra.

La sua partenza rappresentava un atto di coraggio, una sfida al destino, una ricerca di significato in un momento storico di profonda crisi.

La sua storia, emblematica di una generazione divisa tra mondi e identità, solleva interrogativi fondamentali sull’appartenenza, la responsabilità e il significato della cittadinanza in un’epoca di migrazioni e conflitti globali.

Artiom, l’adottato, rispondeva alla chiamata di una terra che, pur non essendo la sua dimora originaria, si era insinuata nel suo spirito come un legame invisibile, un filo rosso che lo riconduceva alle sue radici.

La sua esperienza, dolorosa e intensa, testimonia la forza inestinguibile del legame umano e la capacità dell’individuo di trascendere i confini geografici e culturali per abbracciare un destino comune.
Rappresenta, in definitiva, un atto di amore universale, un grido di speranza che si leva dalle macerie di una guerra insensata.

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